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Tuesday, April 27, 2010

Iron Man 2 (id., 2010)di Jon Favreau

POSTATO SU
Pochi film negli ultimi anni avevano riscosso un successo e un gradimento come Iron Man. Tutti a tutti i livelli sembravano esserne rimasti entusiasti, fan in primis.
L'incontro del cinema di Jon Favreau (quello di Swigners) e della personalità di Robert Downey Jr. con l'inconsueto personaggio di Tony Stark (un eroe senza problemi: miliardario, bello, intelligente, simpatico e supereroe) aveva creato il film d'intrattenimento perfetto, capace di fare sul serio quello che gli altri si propongono solamente: essere avventuroso, essere affascinante, essere divertente e, a tratti, sinceramente sentimentale.

Il seguito conferma tutto il cast (tranne Terrence Howard, opportunamente sostituito con Don Cheadle) e la troupe tranne, ad inspiegabile sorpresa, il comparto degli sceneggiatori. I 4 responsabili del primo film sono stati rimpiazzati da una nuova entrata, Justin Theroux che alle sue spalle ha unicamente la collaborazione alla stesura di Tropic Thunder.
Quello che accade è che a fronte di un'azione ugualmente forsennata e un'idea di film molto simile al precedente, in cui il protagonista ha dei problemi ma è sostanzialmente una figura altamente desiderabile, manca totalmente l'identificazione tra chi guarda e chi realizza. Iron Man 2 non sembra più un film tutto centrato sulla storia che mette in scena quello che gli spettatori ancora non sanno di voler vedere ma un film consapevole dei propri punti di forza, che preme su di essi per ottenere il massimo risultato.
Così Tony Stark è ancora più arrogante e banalmente fascinoso così come la sua ostentazione di denaro e tecnologie è ancora più estrema e futile.

Manca inoltre un'altra componente importante, ovvero l'azione. Nel film ce n'è ben poca e tocca attendere parecchio per la prima sequenza davvero interessante, quella cioè dell'autodromo (uno dei pochi momenti in grado di tenere testa all'originale). Allo stesso modo lo showdown finale è di un semplicismo disarmante, specie rispetto alla maniera arguta in cui nel primo film veniva risolta la medesima situazione (Iron Man combatte contro un cattivo dotato di un'armatura più potente della sua).
Così, se Mickey Rourke è assolutamente all'altezza di Jeff Bridges (e non era facile), nel ruolo dello specchio del Tony Stark inventore (mentre Bridges era lo specchio del Tony imprenditore) e Gwyneth Paltrow sembra ancora una volta aver fatto una delle scelte più azzeccate della sua carriera, il resto della trama intorno a loro procede per inerzia, come capita a molti film d'azione (e di fumetto) che si vedono in giro.

Non è stata mostrata la scena presente dopo i titoli di coda perchè non venga fatto spoiler ma io lo faccio lo stesso. Gente della produzione mi ha confidato essere sostanzialmente il martello di Thor che viene sbattuto a terra. Mo' ve l'ho detto.

Friday, December 19, 2008

The Spirit (id., 2008)di Frank Miller

POSTATO SU
Quello che si diceva era vero.
The Spirit conferma che il meglio di Sin City era opera di Frank Miller e il peggio di Rodriguez, perchè il primo film di Miller da regista al 100% è un'opera a tratti delirante (motivo per il quale difficilmente piacerà al grande pubblico) e, scavalcando l'Hulk di Ang Lee, diventa il film che più di tutti porta su schermo il linguaggio dei fumetti. Anzi forse è il primo vero fumetto che si avvale anche di tecniche cinematografiche.

Innanzitutto il montaggio che, senza le transizioni ad effetto di Ang Lee, applica in tutto e per tutto le soluzioni e le logiche fumettistiche, nel senso che non solo si vede che è stato concepito da una persona abituata a pensare per tavole ma soprattutto cerca di tradurre quelle logiche in modo che abbiano senso al cinema.
Allo stesso modo Miller cerca di tradurre il suo stile visivo in modo che abbia senso al cinema (e questo non sempre riesce) in maniera più estesa e permeante di Sin City. Non si tratta solo di colori poco saturi con alcuni elementi dotati invece di colorazioni piatte e fortissime, c'è molto più senso del dramma ed espressionismo nell'uso che se ne fa. E poi c'è molto più gusto per l'estetica pura. Poche volte avrete il piacere in vita vostra di vedere un film così sfacciatamente preso dal suo lato estetico. E che lato estetico! Ogni inquadratura è un vero gioiello milleriano.

The Spirit poi si avvale di uno stile di racconto fortissimo (anche lì si sente che a scrivere c'è una persona che conosce benissimo le logiche e i meccanismi attraverso i quali raccontare una storia), che non teme il grottesco, l'ironico e i toni più assurdi e quasi imbarazzanti, con ampie e dichiarate concessioni anche al fumetto giapponese nonchè un citazionismo folle ed esagerato sia cinematografico che fumettistico che arriva addirittura a citare se stesso in uno stacco di montaggio (quello con il pupazzo del T-Rex in primo piano) preso da Big Fat Kill che neanche io so come ho fatto a ricordami dai fumetti.

La sapienza milleriana poi si apprezza tutta nella maniera incredibile in cui sottilmente prende una trama, un impianto e delle dinamiche tipiche da fumetto anni '30 e le riadatta oggi. Tanti punti del film sono quasi ridicoli per il semplicismo che mettono in scena, ma non c'è reale ingenuità semmai si tratta del suo contrario, di un'altissima sofisticazione che rende presentabili oggi dinamiche vecchissime e molto semplici. Certo, forse non sempre questa scelta paga, ma il fascino e l'abilità sono indubbie.
Fascino soprattutto di quest'eroe donnaiolo che spesso vediamo con gli occhi rossi e lucidi (e l'eroe che piange davanti alla natura (in questo caso davanti alla città) e ai propri affetti è un topos della letteratura greca antica che l'autore di 300 non può aver azzeccato per caso) del quale non si capiscono bene le proprietà ma la cui vita e il cui status (nonostante il buonismo poco sopportabile) è altamente invidiabile.

Insomma The Spirit non è un film facile, nel senso che nonostante un livello di piacere immediato dato da una storia ben raccontata e dai toni avvincenti (la vera avventura vecchio stile) ha anche moltissimi altri piani di lettura, spesso procede per associazioni non scontate e dunque, ad un occhio meno attento, può apparire naive. Ma non lo è.

Wednesday, October 15, 2008

Vicky Cristina Barcelona (id., 2008)di Woody Allen

POSTATO SU
Diciamolo subito, tanto lo hanno detto tutti, anche Woody Allen, ed è la verità. Vicky Cristina Barcelona è stato fatto perchè il regista è stato chiamato dalla proloco catalana che gli ha chiesto se ambientava un film a Barcellona e gli faceva un po' di pubblicità. E Woody, a cui non dispiaceva l'idea, si è detto contento di farsi un'estate in Spagna, così ha scritto una storia appositamente.

Ma la grandezza infinita di Allen sta proprio nell'aver preso lo spunto più banale e commerciale possibile (il grande spot alla città catalana, ripresa di continuo in tutti i suoi punti topici) per realizzare un film in cui ripassa il suo dizionario affettivo personale, aggiornandolo alle ultime voci. Cercando una storia nella quale si trovi a suo agio e che contemporaneamente gli consenta qualche spunto di novità.

Io lo so che Vicky Cristina Barcelona non piacerà. Troppo lento, dotato di un ritmo compassato sempre uguale a se stesso dall'inizio alla fine, troppa Barcellona, troppa Europa e europei come piace immaginarli agli americani, troppa voce fuoricampo e troppi ammiccamenti sessuali poi non realizzati. Del resto se neanche vi è piaciuto Sogni E Delitti figuriamoci questo...

A me però è piaciuto. Perchè Woody Allen è un gigantesco narratore di storie, capace di rinnovare se stesso ogni volta (qui gioca a prolungare i primi piani e a far accedere le cose fuoricampo come mai prima d'ora e con risultati stupendi vedi la scena prima del finale al bar) e anche se raccontasse la storia di Cappuccetto Rosso la renderebbe sintomatica di altri deliri interiori, figuriamoci ora che dopo una vita di rapporti a due vivisezionati passa ad un rapporto a tre (con quella stupenda citazione sbagliata da Jules e Jim, le biciclette riprese mentre scendono un pendio ma senza la macchina mobile e libera di Truffaut, bensì con un carrello rigorosissimo).

In Vicky Cristina Barcelona in particolare i personaggi più interessanti sono di gran lunga i due spagnoli, straordinari singolarmente (specie la folle artista/musa contagiosa Penelope Cruz) e ancora migliori in coppia, mentre le protagoniste americane sono figure decisamente più impalpabili. Eppure sono loro le protagoniste e Allen usa l'incredibile luce emanata dai caratteri di Javier Bardem e Penelope Cruz per illuminare le vite dei personaggi satellite, rendendo Vicky e Cristina spugne porose che assorbono tutti gli stimoli di un luogo ed uno stile di vita nuovi per loro.

Su questa orchestrazione (che ricorda quella di Come In Uno Specchio di Bergman) si parla delle solite cose: dell'impossibilità di stabilire relazioni durature (con la straordinaria idea del rapporto che si tiene in equilibrio solo per la presenza di un elemento estraneo), della casualità della vita e del rapporto complesso con l'arte.
Come ci si ispiri e ci si influenzi a vicenda, come tutto ciò che vediamo e sentiamo sia in grado di cambiarci e cambiare la nostra la vita a seconda di come ci poniamo nei suoi confronti è forse il vero sottotesto di un film che comunque è un bellissimo, tranquillo e divertito racconto.
E a me questo basta.

Per i feticisti del riconoscimento delle scene di film in altri film questa volta il rebus era per solutori abbastanza abili, la scena del film che vedono al cinema dura pochissimo ed è di un film poco noto di un autore molto noto. Io sono stato fortunato perchè è uno dei miei preferiti: L'Ombra Del Dubbio di Hitchcock.