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Wednesday, September 8, 2010

The Town (.id, 2010)di Ben Affleck

POSTATO SU
FUORI CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2010

Io che sono pieno di pregiudizi e che non avevo creduto che Ben Affleck fosse sul serio responsabile dello script di Will Hunting (mi ero figurato una complicata storia di favori incrociati con Gus Van Sant che gli aveva fruttato il nome sui credits), sono rimasto a bocca aperta davanti a Gone baby gone, uno dei più curiosi, anticonvenzionali e convincenti polizieschi degli ultimi anni. Ora con The Town si conferma che non solo Affleck non è cretino (l'ho anche visto in conferenza stampa e non riesco a farmene una ragione!) ma che ora è la partecipazione di Matt Damon a quella sceneggiatura ad essere oggetto delle mie elucubrazioni.

Ad ogni modo The Town non è così anticonvenzionale e così complesso dal punto di vista dei personaggi come il film precedente, anzi, il soggetto (che comunque viene da un libro anche se pesantemente riadattato) è molto convenzionale, un poliziesco ancora ambientato a Boston che sfocia nella classica dinamica "stretto tra due fuochi, tutti mi vogliono morto, devo scappare".
Quello che Ben Affleck fa è applicare il miglior filtro hollywoodiano, quello cioè che consente il racconto di genere con una lente personale. Quello classico del cinema dei mestieranti adattato alla modernità. In pratica il filtro-Eastwood.

Ne esce quindi un'opera girata con il rigore morale e la rigidità registica che guardano a Mystic River ma con una poetica della fuga che ormai sembra la cifra del cinema di Affleck.
Come in Eastwood inoltre in The Town non c'è una pallottola fuori posto. Ne volano tante ma ogni volta viene spontaneo chiedersi che cosa implicherà e che conseguenze avrà.
L'unica nota stonata è il finale che Affleck ha cambiato rispetto al libro.

Wednesday, November 25, 2009

Dorian Gray (id., 2009)di Oliver Parker

Come quando in Photoshop si dà l'ordine Merge Down fino a che da tanti livelli non ne rimane uno solo che li comprende tutti appiattendoli così dal merge di Dorian Gray rimane la doppia vita.
"Il mio Dorian Gray è come Mick Jagger, si chiede cosa fare quando puoi fare qualsiasi cosa?" da questa laconica affermazione del regista che sarebbe arduo anche solo cominciare a correggere prende le mosse un film "moderno" per giovani che gli rende appetibile il racconto di Wilde e anche per l'occasione educativo. Alla fine Dorian si pente di tutto e si condanna a morire per amore di una ragazza (ho detto ragazzA eh!).

Lui è Caspian, Colin Firth sembra Orson Welles (prima in versione Macbeth, poi Mr. Arkadin e infine invecchiato proprio Charles Foster Kane) e le scene di sesso perduto (?!?!) uno spot Campari. Si salva solo Rebecca Hall per meriti extracinematografici.

Tuesday, February 3, 2009

Frost/Nixon (id., 2008)di Ron Howard

POSTATO SU
Ancora una volta Ron Howard ci mette di fronte all'ennesimo film truffa. Una truffa sempre più abile e quindi sempre più truffaldina.
La truffa sta nel fatto che Frost/Nixon è un film realizzato con valori produttivi immensi (recitazione di qualità alta, alta fotografia, alto montaggio ecc. ecc.) ma assolutamente vuoto sotto. Ma ancora di più la truffa sta nel fatto che il film si agita in mille modi per convincere lo spettatore che in realtà ci sia qualcosa.
Innanzitutto il tema, che come quasi tutti i film più recenti di Ron Howard è altissimo, cioè lo scontro umano titanico tra un uomo politico dei più abili e un conduttore dei più apparentemente inadatti ad affrontarlo, reso mitico dall'obiettivo di far emergere la verità e restituire al popolo americano l'onore di una piena confessione del colpevole.
Le aspirazioni sono dunque altissime e tale contrasto è esplicitamente dichiarato più volte nel corso del film senza che poi si giunga ad una sintesi che non sia il classico schema americano scontro/sconfitta/seconda opportunità/vittoria. Un classicismo solo mascherato dall'idea fintamente moderna di un documentario con gli attori che parlano come fossero i veri protagonisti che non è quello, per dire, eastwoodiano al quale ogni volta applaudiamo, ma quello povero di idee che rifugia nelle strutture fisse per incapacità di innovare. La forza del buon Clint per il quale tutti gli rendiamo merito è di rifuggire sempre gli schemi fissi interpretando però il modo di girare un film in senso tradizionale, cioè di andare alla radice delle cose avendo introiettato un metodo di messa in scena.

E infatti proprio a livello di messa in scena, nonostante tutta la fatica che Ron Howard fa perchè sembri che succeda qualcosa, in realtà non succede nulla. in questo caso poi la questione è facile da affrontare perchè esistono riprese vere. La differenza tra questo film e la visione delle vere interviste dovrebbe dare tutto il senso di cosa sia fare qualcosa di simile al cinema. Gli elementi principali dovrebbero essere due: il ritratto di Nixon e il modo con cui è raccontato quel diverbio che si può vedere in tv.
Il ritratto del presidente Nixon è in una parola piatto. Cos'ha di veramente alto? In quale modo può essere definito un ritratto umano valevole un racconto? In quale modo si discosta dal livello di macchietta?
E come sono raccontate per immagini le interviste? Ad un profondo conoscitore di quell'evento cosa dà la visione del film? Nulla. Non aggiunge nulla se non la coloritura del tutto attraverso i classici canoni dell'eroismo all'americana. Una riduzione ai minimi termini che qui è più inutile che mai.

Il punto di tutto questo livore, e qui veniamo al dunque, è che lo spettatore normale non va a fare queste differenziazioni. Entra ed esce dalla sala e se all'uscita è più soddisfatto che all'entrata (cioè se il risultato è superiore all'aspettativa) sarà contento. Che è anche giusto, è il modo migliore di divertirsi al cinema. Ma in questo caso chi ci perde è il sistema in sè. Perchè in molti usciranno soddisfatti e molti anche più che soddisfatti ritenendo che questo sia grande cinema. Ecco perchè l'opera di Ron Howard le sue truffe sofisticate danneggiano tutto il sistema e sviliscono il cinema in sè.

Non è certo Ron Howard l'unico ad adottare simili strategie, ma è il peggiore perchè le innalza a forma d'arte. Non potendo fare altro le battezza come modo alto di trattare un probelma. E' il peggiore utilizza tali strategie per fare opere che si pongono come magniloquenti, è il peggiore perchè più di tutti cerca di convincere che quello sia un modo fortemente artistico di fare cinema. E' il peggiore semplicemente perchè fa più danni degli altri e disgraziatamente tutto questo (dio non voglia!) sarà probabilmente legittimato ancora una volta dagli Oscar.

Wednesday, October 15, 2008

Vicky Cristina Barcelona (id., 2008)di Woody Allen

POSTATO SU
Diciamolo subito, tanto lo hanno detto tutti, anche Woody Allen, ed è la verità. Vicky Cristina Barcelona è stato fatto perchè il regista è stato chiamato dalla proloco catalana che gli ha chiesto se ambientava un film a Barcellona e gli faceva un po' di pubblicità. E Woody, a cui non dispiaceva l'idea, si è detto contento di farsi un'estate in Spagna, così ha scritto una storia appositamente.

Ma la grandezza infinita di Allen sta proprio nell'aver preso lo spunto più banale e commerciale possibile (il grande spot alla città catalana, ripresa di continuo in tutti i suoi punti topici) per realizzare un film in cui ripassa il suo dizionario affettivo personale, aggiornandolo alle ultime voci. Cercando una storia nella quale si trovi a suo agio e che contemporaneamente gli consenta qualche spunto di novità.

Io lo so che Vicky Cristina Barcelona non piacerà. Troppo lento, dotato di un ritmo compassato sempre uguale a se stesso dall'inizio alla fine, troppa Barcellona, troppa Europa e europei come piace immaginarli agli americani, troppa voce fuoricampo e troppi ammiccamenti sessuali poi non realizzati. Del resto se neanche vi è piaciuto Sogni E Delitti figuriamoci questo...

A me però è piaciuto. Perchè Woody Allen è un gigantesco narratore di storie, capace di rinnovare se stesso ogni volta (qui gioca a prolungare i primi piani e a far accedere le cose fuoricampo come mai prima d'ora e con risultati stupendi vedi la scena prima del finale al bar) e anche se raccontasse la storia di Cappuccetto Rosso la renderebbe sintomatica di altri deliri interiori, figuriamoci ora che dopo una vita di rapporti a due vivisezionati passa ad un rapporto a tre (con quella stupenda citazione sbagliata da Jules e Jim, le biciclette riprese mentre scendono un pendio ma senza la macchina mobile e libera di Truffaut, bensì con un carrello rigorosissimo).

In Vicky Cristina Barcelona in particolare i personaggi più interessanti sono di gran lunga i due spagnoli, straordinari singolarmente (specie la folle artista/musa contagiosa Penelope Cruz) e ancora migliori in coppia, mentre le protagoniste americane sono figure decisamente più impalpabili. Eppure sono loro le protagoniste e Allen usa l'incredibile luce emanata dai caratteri di Javier Bardem e Penelope Cruz per illuminare le vite dei personaggi satellite, rendendo Vicky e Cristina spugne porose che assorbono tutti gli stimoli di un luogo ed uno stile di vita nuovi per loro.

Su questa orchestrazione (che ricorda quella di Come In Uno Specchio di Bergman) si parla delle solite cose: dell'impossibilità di stabilire relazioni durature (con la straordinaria idea del rapporto che si tiene in equilibrio solo per la presenza di un elemento estraneo), della casualità della vita e del rapporto complesso con l'arte.
Come ci si ispiri e ci si influenzi a vicenda, come tutto ciò che vediamo e sentiamo sia in grado di cambiarci e cambiare la nostra la vita a seconda di come ci poniamo nei suoi confronti è forse il vero sottotesto di un film che comunque è un bellissimo, tranquillo e divertito racconto.
E a me questo basta.

Per i feticisti del riconoscimento delle scene di film in altri film questa volta il rebus era per solutori abbastanza abili, la scena del film che vedono al cinema dura pochissimo ed è di un film poco noto di un autore molto noto. Io sono stato fortunato perchè è uno dei miei preferiti: L'Ombra Del Dubbio di Hitchcock.