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Friday, November 12, 2010

Stanno tutti bene (Everybody's fine, 2010)di Kirk Jones

POSTATO SU
Il problema del remake americano di Stanno tutti bene è evidente anche prima di iniziare a vedere il film. La pellicola di Tornatore era molto poggiata sul protagonista, Marcello Mastroianni, la precisa caratterizzazione data al ruolo era l'essenza stessa del film. Dagli occhiali a lente, al modo di parlare e di porsi (un uomo di altri tempi e di altri luoghi, trasferito nelle grandi città moderne), il film girava tutto intorno alla sua sensibilità tradita, frustrata e sorpresa. Il problema si pone dunque quando a fare il remake c'è Robert De Niro, attore tra i più stanchi, mosci e svogliati degli ultimi anni.

La conferma arriva subito. Non c'è caratterizzazione, non c'è caricatura, non c'è espressionismo nel corpo deniriano di questo film. Kirk Jones sembra saperlo e sposta l'asse. Stanno tutti bene americano è molto più un film corale di quanto non lo fosse l'italiano. Le storie dei figli sono più importanti (non a caso qui sono 4 mentre lì erano 5, in modo da concentrarsi di più su ognuno) e non dei meri veicoli per altre idee (l'anomia cittadina, il contrasto individuale con la tradizione in cui si è cresciuti e la modernità in cui si vive).
Scompare anche la forte idea di contrasto tra presente e passato, quell'evoluzione sociale del paese che è stata la cifra di tutto un importante periodo produttivo di Tornatore. Per Kirk Jones Stanno Tutti Bene è una storia di famiglia e basta, e al massimo di vecchiaia (forse l'unico tema assente nell'originale). Rifiuta la forte impronta estetica di Tornatore e soprattutto (strano a dirsi per un film anglosassone) quell'idea che parte delle idee legate al racconto fossero veicolate da alcuni incontri palesi contrasti, sui quali regna quello bellissimo del cervo sull'autostrada.

La cosa potrebbe anche andare bene, se non fosse che, oltre al protagonista, anche il resto del film è abbastanza stanco e, quando può, si rifugia in un sentimentalismo melodrammatico che cerca la lacrima senza meritarsela, solo proponendo i più elementari meccanismi stimolo-risposta.
E suonano ridicole anche le variazioni oniriche quando non si applica quella patina fellinica che invece aveva l'originale (vuoi anche per la partecipazione alla sceneggiatura di Tonino Guerra) e che gli dava un senso vero, come nella sequenza finale delle rivelazioni infantili.
Curioso infine come questo film americano abbia un finale più italiano di quanto non fosse quello del nostro film.

Thursday, June 3, 2010

Gentlemen Broncos (id., 2009)di Jared Hess

POSTATO SU
Al terzo film quella di Jared Hess comincia ad essere una filmografia dotata di uno stile talmente forte che rischia di diventare un limite. Non lo è ancora per fortuna, almeno non in Gentlemen Broncos che anzi utilizza tutto ciò che rendeva godibile Napoleon Dynamite per andare anche oltre.

Con i consueti silenzi espressivi, le fissità comiche e l'idea di raccontare i personaggi a partire dalla loro immagine e solo poi con ciò che dicono o pensano, il cinema di Jared Hess oltre ad essere comico in una maniera totalmente personalmente e follemente unica, è anche uno dei più realmente anticonformisti.
Da quando il Sundance Film Festival ha creato uno stile più omologato tra i film indipendenti americani abbiamo cominciato a vedere (finalmente!) gli americani grassi. Cioè abbiamo cominciato a vedere storie in cui i personaggi somigliano alle persone e da lì sono arrivate anche trame e intrecci più attaccati al quotidiano e via dicendo. Eppure in fondo, lo si è detto più volte da tante parti, i film indipendenti in stile Sundance rimangono indulgenti, buonisti e "americani" nel senso di "incastrati in dinamiche di autoassoluzione".

Ecco Jared Hess sta da un'altra parte. Innanzitutto perchè fa un cinema di volti e non tanto di spazi com'è tipico di Hollywood e poi perchè lui è davvero spietato con i suoi personaggi, anche quando questi hanno un talento e sarebbero stimabili. Sempre bloccati in una moda e in atteggiamenti appartenenti all'epoca sbagliata rispetto a quella che vivono (l'inizio degli anni '80 per Napoleon Dynamite e gli anni '80 pieni in questo caso), i suoi perdenti irrimediabili non sono cialtroni e pieni di cuore come quelli di Michel Gondry, sono cialtroni davvero. E basta.
Tristi fino al midollo, sconsolati, stupidi e anche vagamenti vanesi (in una maniera tutta loro) gli americani di Hess sono per davvero uomini orribili e questo viene raccontato a partire da musiche, abiti, ambienti e dettagli di composizione di una maniacalità incredibile (in questo film il personaggio orribile dell'angelo custode ha delle pose plastiche che da sole sono un trattato di estetica degli anni '80).

Al centro di Gentlemen Broncos c'è un ragazzo che scrive storie a tinte forti nello stile della peggior fantascienza di serie C e sebbene il suo mito sia molto peggio di lui, sebbene il "regista" che incontra, e che vuole fare del suo soggetto un film, sia ancora peggiore di entrambi, non si riesce a provare vera empatia con lui. Da questo distacco, che per lo più è operato con la comicità e l'umiliazione continua, Jared Hess ci mette davvero fronte all'inevitabile e scomoda scelta di stare dalla parte di orrendi e autentici perdenti senza cuore (e anche abbastanza bastardi e vigliacchi con chi gli vuole bene) o crederci migliori.

Tuesday, April 27, 2010

Iron Man 2 (id., 2010)di Jon Favreau

POSTATO SU
Pochi film negli ultimi anni avevano riscosso un successo e un gradimento come Iron Man. Tutti a tutti i livelli sembravano esserne rimasti entusiasti, fan in primis.
L'incontro del cinema di Jon Favreau (quello di Swigners) e della personalità di Robert Downey Jr. con l'inconsueto personaggio di Tony Stark (un eroe senza problemi: miliardario, bello, intelligente, simpatico e supereroe) aveva creato il film d'intrattenimento perfetto, capace di fare sul serio quello che gli altri si propongono solamente: essere avventuroso, essere affascinante, essere divertente e, a tratti, sinceramente sentimentale.

Il seguito conferma tutto il cast (tranne Terrence Howard, opportunamente sostituito con Don Cheadle) e la troupe tranne, ad inspiegabile sorpresa, il comparto degli sceneggiatori. I 4 responsabili del primo film sono stati rimpiazzati da una nuova entrata, Justin Theroux che alle sue spalle ha unicamente la collaborazione alla stesura di Tropic Thunder.
Quello che accade è che a fronte di un'azione ugualmente forsennata e un'idea di film molto simile al precedente, in cui il protagonista ha dei problemi ma è sostanzialmente una figura altamente desiderabile, manca totalmente l'identificazione tra chi guarda e chi realizza. Iron Man 2 non sembra più un film tutto centrato sulla storia che mette in scena quello che gli spettatori ancora non sanno di voler vedere ma un film consapevole dei propri punti di forza, che preme su di essi per ottenere il massimo risultato.
Così Tony Stark è ancora più arrogante e banalmente fascinoso così come la sua ostentazione di denaro e tecnologie è ancora più estrema e futile.

Manca inoltre un'altra componente importante, ovvero l'azione. Nel film ce n'è ben poca e tocca attendere parecchio per la prima sequenza davvero interessante, quella cioè dell'autodromo (uno dei pochi momenti in grado di tenere testa all'originale). Allo stesso modo lo showdown finale è di un semplicismo disarmante, specie rispetto alla maniera arguta in cui nel primo film veniva risolta la medesima situazione (Iron Man combatte contro un cattivo dotato di un'armatura più potente della sua).
Così, se Mickey Rourke è assolutamente all'altezza di Jeff Bridges (e non era facile), nel ruolo dello specchio del Tony Stark inventore (mentre Bridges era lo specchio del Tony imprenditore) e Gwyneth Paltrow sembra ancora una volta aver fatto una delle scelte più azzeccate della sua carriera, il resto della trama intorno a loro procede per inerzia, come capita a molti film d'azione (e di fumetto) che si vedono in giro.

Non è stata mostrata la scena presente dopo i titoli di coda perchè non venga fatto spoiler ma io lo faccio lo stesso. Gente della produzione mi ha confidato essere sostanzialmente il martello di Thor che viene sbattuto a terra. Mo' ve l'ho detto.

Wednesday, December 2, 2009

Moon (id., 2009)di Duncan Jones

POSTATO SU
Bisogna essere rapidi e andare a vederlo nelle poche, pochissime sale in cui sarà perchè Moon è davvero un filmetto da non perdere e da gustare nel buio della sala, buio che ad un certo punto sembra quasi la logica prosecuzione di quel vuoto nero ed oscuro che circonda la base lunare dove è ambientata tutta la storia.

Siamo dalle parti del miglior cinema di fantascienza, quei film a basso budget (5 milioni dollari, roba che avranno risparmiato anche sui biglietti dell'autobus per non sforare!) nei quali lo spazio non serve a far scontrare astronavi ma a fornire una dimensione assurda e solitaria in cui le cose non sono più quello che sembrano, le persone sono costrette a guardare dentro se stessi ed il mistero esiste ancora. Solo nello spazio si può ancora credere davvero di poter arrivare ai confini della metafisica per incontrare i creatori della civiltà, solo nello spazio la lotta contro un mostro tra organico e meccanico diventa una ricerca interiore e solo nello spazio si può incontrare l'altro per eccellenza, cioè se stessi, come fa il protagonista di Moon.
Lo spazio è forse l'ultimo luogo dell'anima, un posto dove (ci immaginiamo che) i valori che animano la nostra società giugono ad una sintesi definitiva, dove gli scontri ideologici diventano scontri materiali e dove non esiste la magia ma solo la fisica e al massimo la metafisica. Che è molto più spaventoso.

Il regista (come non dirlo??) è il figlio di David Bowie e più che guardare alle fantasie spaziali paterne guarda a 2001: Odissea Nello Spazio, Blade Runner e Solaris ma senza nasconderlo. Intendiamoci non vuole citare quei film ma replicarne esattamente alcuni elementi, utilizzare quelle sensazioni, quelle idee che un computer con voce monocorde ci scatena per poi tradirle. Duncan Jones ci fa pensare continuamente di aver capito dove va a parare, ci fa pensare di essere sulla scia di Blade Runner quando non è così, ci fa credere che le cose andranno come in 2001 ma non è esattamente vero.
E alla fine lo scarto tra questi modelli (neanche lontanamente raggiunti sia chiaro!) e quello che succede invece in Moon segna la distanza tra come vedevamo una volta la dialettica tra materia e spirito e come la vediamo oggi. Il futuro è ancora una lotta per la supremazia dell'umanità sulla tecnologia ma le forze in campo non sono più le stesse o quantomeno non sono schierate più nella stessa maniera, almeno da Wall-e in poi.