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Friday, October 31, 2008

"Al Festival Del Film di Roma non ci va nessuno"

PRESENZE

%

2008 vs 2007

2008

2007

2006

Visitatori dei luoghi del Festival

- 3,3%

580.000

600.000

480.000

Accreditati

+ 7,8%

7.558

7.010

6.837

Totale biglietti emessi

+ 4,5%

115.000

110.000

102.000

Incassi biglietti

+ 14,5 %

€ 398.000

€ 347.610

€ 367.486

PARTECIPAZIONE DEL PUBBLICO

Tasso di occupazione media delle sale

89%

82%

65%

Tasso medio di votanti per il premio del pubblico

64%

-

-


Trattasi dei dati ufficiali diramati dalla direzione dei quali voglio sottolineare il solo -3,3% influenzato dai monsoni che si sono abbattuti su Roma negli ultimi 3 giorni (roba che ha rovesciato i vasi di cemento e fatto crollare i cartelloni)..
Qui è scritto ma so da altre fonti che anche il reparto "alimentare" dell'auditorium e degli stand subito fuori ha venduto di più, in linea con i dati qui sopra.

Louise-Michel (id., 2008)di Benoît Délepine, Gustave Kervern

ALTRO CINEMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

Eccolo il film più strano del Festival, una commedia che quasi è un film comico dove i protagonisti sono un uomo che è una donna e una donna che è un uomo, alla ricerca di un direttore da uccidere. Alla chiusura improvvisa di uno stabilimento femminile infatti le lavoratrici decidono di prendere i loro risparmi ed assoldare un killer che uccida il direttore, ma in una grande azienda non è mai facile capire chi sia il direttore vero.

La comicità è tra le più stralunate e deliranti mai viste, impossibile da replicare e difficilissima da attuare. E la grandezza del duo Delepine-Kervern sta proprio nell'attuare moltissime strategie di messa in scena per rendere divertenti le loro assurde trovate.

La trama è un gigantesco attacco al capitalismo perpetrato attraverso l'arma della violenza e della disperazione. C'è una visione sprezzante dell'umanità che era dai tempi di Fantozzi che non prendeva forma. Una sorta di pietà per questi derelitti che sono oltre ogni dignità.

Si Può Fare (2008)di Giulio Manfredonia

ANTEPRIMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

Se c'è una cosa che sappiamo fare è questo cinema che racconta storie di derelitti con un tono scanzonato, ridendone di gusto e lasciando passare qualche lacrimuccia di gioia per come questi poveracci poi trovino la felicità. Film che a modo nostro ci fanno sperare che esista un mondo migliore.

Mi viene da pensare allora che la vera grandezza di Mio Fratello E' Figlio Unico è di essere partito da questo genere per elevarsi ed eliminare tutte le mille piccole ruffianerie, gli espedienti di bassa lega e la pessima sceneggiatura per diventare un prodotto serio che mantiene solo i pregi di questo modo di fare commedia amara.

Si Può Fare invece è un tipico esponente della categoria. Manfredonia lascia mano libera ad un gruppo di attori che si divertono ad interpretare i malati di mente come ce li immaginiamo (l'unico un minimo interessante è Franco Ravera, già visto nei panni di un matto in La Ragazza Sul Lago) e Claudio Bisio è bravissimo a lasciare che la comicità rifluisca attraverso di lui per finire su di loro. Ma oltre a trovate davvero molto divertenti c'è il deserto della ruffianeria e della stupidità.

Si sceglie un tono favolistico (i matti che lavorano come montatori di parquet e al primo giorno gli danno in mano la motosega) ma non lo si segue fino alla fine pretendendo di convincere lo spettatore che davvero sia possibile una cosa simile (alla fine un serie di scritte con i dati sulle cooperative di malati di mente sono funzionali in questo senso).
A fronte di molte scene divertenti ce ne sono tantissime scritte in maniera pessima (Bisio e la Caprioli sul tetto per dirne una) e lo svolgimento risponde al più trito dei canovacci (se forse avrei potuto accettare che delle ragazze dell'alta società milanese escano con dei matti, di certo non accetto che escano con dei montatori di parquet!).
Ancora peggio si pretende di far passare l'idea non che i malati di mente siano normali ma che siano meglio delle persone normali.

La Siciliana Ribelle (2008)di Marco Amenta

ALICE NELLA CITTA'
FESTIVAL DEL FILM 2008

Il solito film italiano di resistenza alla mafia nel quale si racconta la vera storia di una ragazza siciliana ultima rimasta della sua famiglia, sterminata dalle famiglie rivali, che si presenta dalla polizia per testimoniare e avere da loro aiuto per la sua vendetta.

Fotografato da Bigazzi e diretto con una media professionalità il film si lascia vedere, si nutre di quello curiosità da organizzazione mafiosa e del facile sentimentalismo legato alle dinamiche di vendetta e di scoperta della realtà da cui si viene.

Ma oltre le giovani vestite tutte di nero che scoprono la libertà della vita in città, dei retaggi familiari inestricabili, dei mafiosi con il cappotto sulle spalle e di un finale che cerca a tutti i costi la lacrima non c'è davvero nulla. Dopo la moratoria sul cinema dell'olocausto per i medesimi motivi ne propongo una sul cinema di lotta alla mafia.

7 Blind Women Filmakers (7 filmsaz zan-e nabina, 2008)Mohammad Shirvani

ALTRO CINEMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

Sette donne arabe cieche fanno 7 cortometraggi. Cioè gente che non ci vede con una videocamera in mano.
Poi mi dicono che vado a vedere i film turchi... Almeno quelli ci vedono!

L'idea sarebbe che queste donne sostituiscono ai loro occhi la videocamera e che noi quindi vediamo il mondo che, davanti a loro, non possono vedere. Nel concreto è una boiata inumana, una cosa di una noia disarmante che non ha il minimo interesse.
A tratti si prova anche dell'astio per le registe alle volte supponenti, alle volte in cerca della facile pietà, alle volte senza una minima idea su cosa fare.

Una trovata che dovrebbe fare leva sul nostro lato emotivo e pietistico ammantandosi di ricerca sperimentale sulle potenzialità della visione cinematografica. Ovviamente però non c'è nulla di tutto questo.
Il sesto dei sette cortometraggi non è stato mostrato per volere della regista e quando l'hanno comunicato dentro di me c'è stata un'esultanza incredibile.

La rigorosa organizzazione

Interrogato un alto esponente del Festival Del Film sulle storture del meccanismo di voto popolare di cui si era parlato, la risposta è stata eloquente: "Ce ne siamo accorti in ritardo".
E chiesto anche se il vincitore (che loro già sanno) sia dunque stato influenzato da tale falla la risposta è stata "No. Abbiamo avuto culo".

Per l'anno prossimo comunque sono previsti ingenti migliorie al sistema che sarà anche brevettato e commercializzato come sistema di rilevazione d'opinione (prevedendo anche un riconoscitore di linguaggio naturale in grado di elaborare i messaggi testuali di apprezzamento o meno).
Le migliorie tecniche non me le ha potute spiegare nel dettaglio ma si tratta di introdurre degli indicatori di sala, orario e affluenza per bilanciare i voti.

Thursday, October 30, 2008

Kill Gil volume 2 e mezzo (2008)di Gil Rossellini

ALTRO CINEMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

"Questa malattia è la cosa più interessante che mi sia capitata nella mia vita", la frase finale di Kill Gil vol. 2 e mezzo campeggia anche sulle locandine come tagline e mi aveva impressionato da subito per bellezza e commozione, prima ancora che Gil Rossellini morisse. Una dichiarazione programmatica di curiosità e un approccio alle cose della vita che è contagiosissimo.

Così com'è contagioso l'ottimismo e la forza del suo documentario che sebbene non brilli per fattura ha un'incredibile forza nei suoi contenuti, nonchè il merito di trovare una chiave sottile per raccontare quello che in sostanza è un continuo spostamento fuori e dentro gli ospedali.

In tre anni e mezzo 42 interventi per limitare, arginare e tentare di alleviare il dolore dato dallo staffilococco che si è introdotto nell'organismo del figlio adottato di Roberto Rossellini tutti raccontati e impressi su videocamera digitale.

"I germi sono i miei nemici. Molti nemici, molto onore diceva qualcuno. Io direi più molti nemici molto dolore" è solo una delle mille battute e degli scherzi che Rossellini fa davanti alla videocamera mentre riprende se stesso e la sua odissea verso la morte.
Non è tanto la forma stavolta ma il contenuto e l'origine dell'opera ad essere veramente affascinanti. Urge recuperare i volumi 1 e 2.

Rocknrolla (id., 2008)di Guy Ritchie

PROIEZIONE SPECIALE
FESTIVAL DEL FILM 2008

Il primo film è una novità, il secondo è ripetizione di uno stile, il terzo è conferma di un modus operandi.
Tornato al suo cinema di incastri e vicende parallele che lentamente convergono Guy Ritchie ritrova se stesso più avanti di dove si era lasciato. All'energia di Lock & Stock, aggiunge più complessità di racconto (qui ogni personaggio ha un suo doppio, cioè un altro uomo cui è sempre accoppiato e che è la sua parte complementare e viceversa), trova nuove idee (le telefonate mostrate con un montaggio che sembra far procedere in circolo le inquadrature o il fantastico inseguimento con i russi), non si vergogna di niente e mette in mostra ciò che vuole.

E' Guy Ritchie. Entertainment al 100% che sollazza il basso ventre come la testa e se molti dicono che non va a parare da nessuna parte hanno ragione. Ma lo fa benissimo!

Come al solito a regnare è la casualità ma soprattutto l'inconoscibilità della realtà e dei fatti della vita, principio dimostrato attraverso il classico McGuffin (qui un quadro) che scatena ire, inseguimenti e capovolgimenti di fronte tra pesci piccoli e pesci grandi.

Non c'è motivo di avercela con Guy Ritchie per il montaggio ipercinetico, per le inquadrature modaiole, per il continuo tappeto musicale ruffiano e l'esaltazione dei suoi protagonisti, perchè il suo cinema è vitale come pochi. Non siamo di fronte alla personalità di un Bekmambetov, vacuo nel suo saturare l'immagine, ma di un cineasta completo che si diverte ad intrattenere con storie dall'orchestrazione magistrale. E a me piace.

The Missing (Shen Hai Xun Ren, 2008)di Tsui Hark

FUORI CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM 2008

Generi mischiati. Un inizio da j-horror, un centro sporcato con toni da commedia e thriller psichiatrico (doppie personalità, visioni...) e un finale da melodrammone. L'ultimo film di Tsui Hark non è facile, specialmente per il pubblico occidentale.

Ogni snodo fondamentale è molto centrato sull'etica, sullo spiritismo e sui principi cinesi che spesso ci risultano incomprensibili se non incondivisibili.
Come sua caratteristica l'enfasi posta in ogni mossa, ogni svolta e ogni sentimento non è poca (non è certo regista minimale Tsui Hark) e la ricerca fatta intorno alle percezioni alterate della protagonista non è certo di quelle banali.

Eppure non funziona nulla, arrivati a metà si desidera la fine se ne ottengono anche troppe. "Il film con più finali di questo festival" l'ha ribattezzato qualcuno con più esperienza di me e non a torto.

Alcune freddure

Oggi è toccato all'incontro sulla pirateria e il bilancio non è stato migliore di ieri
Il fenomeno della pirateria è una faccia dell'inciviltà culturale ed è come chi imbratta i monumenti o chi distrugge le suppellettili delle scuole o chi corre ubriaco. Sono tutti membri di questa comunità incivile che si dà alla pirateria
Giorgio Assumma (SIAE)

che facciamo produciamo i film per il monitor del computer??
Paolo Protti (ANEC)

non sarebbe meglio se ci fosse uno che strimpella e uno dall'altra parte che ascolta, perchè il lavoro dei distributori convince la gente ad interessarsi a questo prodotto perchè allora abbiamo solo UGC e fare un film e farlo bene ci vuole tanta professionalità e tanta capacità
Davide Rossi (Univideo)
C'era anche gente decisamente più illuminata a parlare, i tecnici come Quintarelli, quando è toccato a loro però tutti questi se ne sono andati e non hanno sentito le proposte, le novità (per loro) e le potenzialità di ciò che loro condannano senza appello. Non hanno potuto capire (ma tanto non capiranno mai) che la tecnologia non è magia.

I due eventi (ieri e oggi) sono comunque affrontati nel dettaglio qui.

Wednesday, October 29, 2008

"Presto fate sellare i cavalli!"

Giuro di non aver cambiato una parola! Questo paragrafo viene dalla conferenza di stamattina sul diritto d'autore e sono pronunciate da Assumma, il numero uno della SIAE, l'uomo che decide del diritto d'autore e della proprietà intellettuale in Italia
Una volta un artista mi ha detto: “ho fatto un concerto in Cina con centinaia di migliaia di persone, con i proventi voglio comprarmi una villa a Panarea”. Allora mi sono informato se li avrebbe ricevuti o meno e mi hanno detto che non sarebbe accaduto perchè la società di collecting cinese non li manda proprio, una cosa incivile ma all'ordine del giorno. Allora considerato come la Cina ma anche l'India siano mercati incredibili e importanti, abbiamo preso la carta e abbiamo scritto ai governanti come abbiamo già messo a punto un progetto denominato "Turandot". A quel punto abbiamo mandato un nostro messaggero in Cina, che ormai è partito da due giorni, per parlare con le autorità locali. Ora abbiamo ricevuto risposta e ospiteremo a breve dei delegati dalla Cina che ci verranno a trovare. In seguito noi faremo una spedizione da Marco Polo lì per risolvere definitivamente il problema. Per ora ci hanno regalato delle cravatte di seta
Potete facilmente capire quale sia stato il tenore di tutto il democratico dibattito a cui c'erano solo uomini SIAE & affini.
Alla fine di tutto l'incontro avevo talmente tanto veleno e violenza in corpo da essere tentato di levarmi una scarpa e battendola sulla scrivania urlare "VI SEPPELLIREMO TUTTI!!".

JCVD (id., 2008)di Mabrouk El Mechri

ALTRO CINEMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

Eccolo il vero evento del Festival Del Film 2008! La proiezione di JCVD, attesissimo film di finzione con protagonista Jean Claude Van Damme che interpreta se stesso in una storia di rapina e assedio che si configura come un bilancio sulla sua vita professionale e personale.

Più in là delle metafore di Rocky Balboa e The Wrestler, il film su Van Damme è ironico e molto molto divertente, assolutamente indulgente con il suo protagonista (che ne esce come un grande attore e un grande uomo) e autocelebrativo in una maniera gustosamente indiretta. Eppure nonostante il divertimento non latiti si respira proprio l'aria del capolavoro mancato.

Peccato perchè il regista sembrava in grado di regalare di più, specialmente a giudicare dalla splendida sequenza d'apertura: un piano sequenza della realizzazione di una scena di quelle tipiche da film vandammiano, una cosa che sembra Ben Stiller che imita Effetto Notte.
Poi però l'ossessione per il racconto atemporale, una fotografia eccessivamente e troppo sovraesposta e la volontà di non esagerare (invece io quello volevo!) un po' ammorbano il flm.

Non solo c'è una specie di videoconfessione che preme l'acceleratore sul patetico (e che è la vera componente vandammiana, cioè il trash!) ma soprattutto c'è un finale che scontenta proprio, perchè dell'avventura impossibile di un Van Damme reale preso in fatti di finzione (si raccontano cose mai accadute) tutti quanti volevano vedere un finale di finzione.

Rimangono però 93 minuti di celebrazione indiretta in cui Van Damme è grottescamente riconosciuto e ammirato da tutti per cose stupidissime (bellissima la scena in cui gli chiedono di levare la sigaretta dalla bocca di un altra con un calcio), nei quali si fanno screzi a Steve Seagal e John Woo e nei quali c'è spazio per una facile commozione che potrebbe anche suscitare involontariamente il riso.
E' Van Damme.

Martyrs (id., 2008)di Pascal Laugier

ALTRO CINEMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

Arrivato al Festival del Film in una proiezione notturna Martyrs si guadagna il pubblico delle migliori occasioni, anche perchè il film ci arriva con la nomea di "disturbante". A introdurlo regista e attrice protagonista che hanno detto (e non mi era mai capitato di sentire una cosa simile) "il film non è di quelli che piacciono a tutti, almeno la metà delle persone che lo hanno visto non lo ha potuto sopportare, agli altri però è piaciuto molto".

La visione conferma le aspettativa di truculenta violenza e pornografica indagine del martirio della carne. Raccontando di una ragazza che ha subito e poi è scampata da un martirio in stile Hostel (ma più serio e girato meglio) che ora si reca a massacrare i suoi carnefici senza sapere a cosa andrà incontro Martyrs cerca di fare un discorso sulla dipendenza dalla violenza, cioè sulla sindrome da martirio che ti spinge a infliggerti dolore se non lo fanno gli altri. Poi però il flim svolta e diventa qualcos'altro, in maniera inaspettata e che può non essere gradita (di qui il 50% che si arrabbia). Io l'ho gradita. Nella parte finale aumentano le pretese della pellicola ma anche la qualità, il reparto di immagini migliora e anche i riferimenti.

Certo il gore rimane e molto. La gente se ne andava a frotte e si sprecavano in sala le grida di pietà "No... Noooooo..." alle violenze peggiori. Alla fine quando si sono accese le luci dietro di me ho visto un vigile del fuoco in divisa, di quelli che lavorano qui al Festival, che probabilmente essendo sera tardi si voleva vedere un filmetto. Stava abbattuto sul sedile con la testa nelle mani.

Tuesday, October 28, 2008

Un fatto personale

Solitamente non racconto fatti personali ma stavolta tocca un tema ormai quasi cult di questo blog.
Invitato da un amico giornalista, e grazie al prestito di un badge, ho avuto accesso oggi per la prima volta alla zona Mini Lounge del Festival, quei punti che sono presenti un po' in tutti i grandi eventi e che in sostanza si configurano come zone d'elite piena di design e musica ambient diffusa.
Nel Mini Lounge si fanno le interviste televisive, si danno le feste la sera, si prende il tè il pomeriggio, ci sono registi e attori, volti noti del giornalismo, si mangia gratis (e bene), ci sono i direttori e i figli di persone note. L'ingresso è ristretto a coloro i quali sono in possesso appunto del badge specifico (che subito diventa status symbol) e questi sono concessi con una certa parsimonia solo per motivazioni concrete (ne esiste poi anche uno giornaliero più facile da avere).

Io non avendo mai avuto motivazioni concrete non ci ero mai andato pur conoscendone l'esistenza, e appena sono arrivato mi ha subito dato la tipica impressione da Metropolis: la zona in alto (sta nel punto più alto dell'Auditorium) dove i figli di quelli che contano intrattengono relazioni importanti e si trastullano mentre nelle viscere della città la feccia lavora alle macchine che la alimentano.

Insomma in questo contesto, mentre ero proprio in mezzo al Lounge, discretamente affollato, in piedi a parlare con una ragazza della mia età (ma dal cognome ben più altisonante del mio) mi rendo conto di un particolare che mi getta un attimo nel panico ma che subito dopo mi fa spuntare un sardonico sorriso sulle labbra.
Sono salito in maglietta. Quella maglietta famigerata.

Misteri del premio del pubblico al Festival Del Film di Roma

Nonostante diverse richieste di parlare con qualcuno sembra impossibile fare vera chiarezza sui meccanismi del concorso del Festival Del Film di Roma.
Quello che si sa è che ci sono due categorie principali di premi: quelli dati da una classica giuria (miglior film, attore e attrice) e quello per il miglior film dato dal pubblico. E proprio questa seconda categoria pone dei problemi di ordine logistico (anche perchè non si sa quanto sia considerata importante dall'organizzazione).

A votare è qualsiasi spettatore veda anche solo un film. All'entrata di ogni proiezione infatti viene consegnata una scheda con 5 codici a barre, finito il film si gratta la parte terminale di quello corrispondente al voto che si vuole dare (appunto da 1 a 5) per scoprire sotto la patina del classico Gratta E Vinci la parte terminale del suddeto codice a barre. Lo si espone in una delle tante macchine in grado di leggerlo sparse per l'auditorium e questa registra il voto.

L'idea di un voto davvero popolare è interessantissima ma come avrete capito dal meccanismo si pongono subito delle questioni alle quali nessuno sembra voler o poter rispondere.

Iri (id., 2008)di Zhang Lu

CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM 2008

Con un andamento molto molto rilassato Zhang Lu vuole mettere in scena un mondo e un modo di intendere i rapporti Cina/Corea Del Sud in accordo con la memoria personale e con quella di un popolo (che non è il suo visto che è cinese e il film si svolge tutt in Corea) attraverso complesse metafore e situazioni criptiche.
Non che non sia abile, molte cose non si scordano facilmente (anche se è meglio non dire perchè), però la sensazione è che stavolta la metafora sia andata troppo in là e che il film esageri nelle sue evoluzioni (o involuzioni), almeno per lo spettatore occidentale.

Il già detto rapporto con la Cina, misurato attraverso la storia dei rapporti delle due nazioni e attraverso il diverso uso che si fa delle due lingue nel film, sono solo due degli elementi più incomprensibili per chi non provenga o non abbia approfondito la cultura asiatica.
Non che questo pregiudichi ogni cosa, ma sicuramente appesantisce e complica una visione già di per sè non facile, organizzata attorno ad una trama che, come spesso capita per film simili, è un pretesto.

Il solo motivo percui non si grida alla "bufala" o all'attentato verso il sonno dello spettatore è perchè Zhang Lu nonostante miri altissimo sembra capace e dotato di cose da dire.
Pur non conoscendo i particolari dell'attentato alla stazione di Iri, che è il presupposto fondamentale del film, lo stesso si percepisce un'eredità non facile e come il regista voglia fare di tale avvenimento una porta per qualcosa di più universale. Ma è tutto molto vago, molto incerto e molto, molto noioso.

L'Artista (El Artista, 2008)di Mariano Cohn, Gastón Duprat

CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM 2008

Diciamolo subito: El Artista non è solo il film più bello che si sia visto qui ma anche uno dei migliori della stagione (a dimostrazione del buon lavoro di selezione fatto). Un'opera in grado di intrecciare mirabilmente comicità e popolarità con un registro altissimo e infiniti piani di lettura.

Attraverso la storia di un uomo che spaccia per proprie le opere di un anziano malato di mente che assiste e che così ottiene fama di grandissimo artista, i due registi operano una riflessione tra le più raffinate mai viste sul concetto non tanto di arte quando di artista (e questo era facile da capire, dato il titolo).
Una riflessione che in nessun modo è un punto fermo ma che fornisce a chiunque una base per farsi un'idea e riflettere sul tema, che costringe ogni spettatore a prendere una posizione a diversi livelli di profondità.
Che ruolo ha l'astrattismo? Che senso hanno i musei? Che rapporto intrecciamo singolarmente con le opere che vediamo? Quanto ci influenza il giudizio generale che viene dato dal momento che non si tratta di arte figurativa? Un artista è tale perchè espone? E' come l'orinatoio di Duschamps che è arte solo quando inserito in una mostra?

C'è una componente fortissima di critica all'ambiente dell'arte moderna (la pittura ma anche le altre arti come la danza), continuamente bersagliata da una serie di battute e situazioni a dir poco esilaranti ma anche una speranza e una fiducia nel ruolo dell'arte e dello studio più serio (la figura del professore universitario è l'unica che non è denigrata, anzi sembra quasi capire tutto).

Resistendo moltissimo e benissimo alla facile trappola di replicare l'idea di Oltre Il Giardino, El Artista gioca tutte le sue carte con uno stile visivo fenomenale, degno del miglior cinema "autoriale", fatto di inquadrature che schiacciano e tagliano il superfluo al pari di campi lunghi che incastrano il piccolo truffatore in strutture più grandi di lui, comunicando senza bisogno di parole (usate quasi solo per le battute).

Infatti moltissime soluzioni e moltissimi particolari fondamentali per la trama (come la prima volta in cui si capisce che le opere le fa il vecchio matto) non sono comunicati verbalmente ma con le immagini o con la maniacale composizione di ogni inquadratura. La conoscenza che i due registi sfoggiano del linguaggio filmico e della fotografia è davvero impressionante, specialmente per come non lasciano mai che l'intellettualismo e la ricerca formale ammorbi il film ma la pongono come uno strumento, al pari delle mille battute sparse per l'opera.

Aiutati Che Dio T'Aiuta (Aide toi, le ciel t'aidera, 2008)di François Dupeyron

CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM 2008

Dopo un inizio che faceva veramente presagire il peggio questo concorso sta decisamente decollando con pellicole ottime, specialmente nell'ottica della missione del festival (un cinema che piaccia alla critica ma anche al pubblico).
Aiutati Che Dio T'Aiuta è un film dai temi forti che non cerca mai l'indulgenza ma approcciato con delicatezza e un tono scanzonato e ironico che ricorda moltissimo le nostre commedie più amare (il miglior Virzì) e soprattutto è dotato di uno spirito ottimista e inarrestabile perfettamente riassunto dal titolo.

Racconta di una famiglia francese di immigrati africani che vive nella periferia di una non ben specificata città. Il fuoco principale è sulla madre, catalizzatore di tutte le innumerevoli disgrazie che si abbattono su lei, il marito e i figli (uno messo peggio dell'altro) eppure indomitamente sempre capace di guardare avanti, non arrendersi e pensare a se stessa.

Lontano da qualsiasi ruffianeria (e dato il fine della pellicola era facile scadere) e da qualsiasi parente autoconsolatoria il film di Dupeyron è anche girato con grandissima sapienza, tutto orchestrato intorno al grande caldo dell'estate cittadina. Il quartiere semi africano dove si svolge il film è ritratto con dominanti caldissime e la macchina da presa spesso posta vicino al terreno è usata per enfatizzare il caldo percepito, cosa che dona alle diverse disgrazie che si abbattono senza pietà un carattere ancor più infernale.

Da grande, grandissimo cinema la sequenza del matrimonio della figlia, in cui commedia e tragedia si fondono con una profondità ed una forza nei rispettivi toni che nemmeno noi abbiamo mai raggiunto.

Guerrilla marketing al Festival Del Film

E poi dicevano che non ci avrei fatto nulla con quella maglietta con il logo.

Monday, October 27, 2008

Easy Virtue (id., 2008)di Stephan Elliott

CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM 2008

La facile virtù del titolo è l'accusa che la protagonista (una pilota d'automobili americana) si vede continuamente fare dalla famiglia snob inglese del nuovo marito quando va a trovarla per la prima volta.

Come si intuisce dalla trama si tratta di un film tratto da un pezzo teatrale degli anni '30, di cui è stata mantenuta l'ambientazione d'epoca premendo l'acceleratore sulla comicità.
Il problema di Easy Virtue è che nonostante battute sagaci non fa ridere, non cerca una dimensione comica del cinema, non cerca di stupire, nè di intrattenere ma pretende di affascinare.
L'adattamento in sostanza non riesce e fa solo venire curiosità della versione muta che ne fece Hitchcock.

Le maschere fisse, come il maggiordomo impeccabile ma dalla battuta pronta o la mamma acida e possessiva, non vanno più in là della loro copertina e non si scorge proprio la volontà di girare qualcosa di buono, solo il tentativo di riprendere degli attori. Peccato.