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Tuesday, January 11, 2011

Il discorso del Re (The King's speech, 2010)di Tom Hooper

POSTATO SU
Poche cose conquistano i cuori degli spettatori, anche i più raffinati e smaliziati, come l'uomo che si fa artefice del proprio destino e che attraverso un travaglio, una lotta o anche solo un generico sforzo fisico e/o mentale, muta quello che la vita o il fato sembravano aver riservato per lui. Una di quelle poche cose che conquistano di più è il piccolo e il grande a confronto: un piccolo uomo e un grande uomo, la piccola storia e la grande Storia, gli umili e i potenti e via dicendo.
Infine se proprio bisognasse compiere un elenco degli artifici accalappia spettatori non si potrebbe dimenticare l'elevazione personale (morale e professionale) attraverso l'esercizio continuo fatto in maniera anticonvenzionale (fisico e/o culturale, quindi Rocky come Scoprendo Forrester). Il discorso del Re ha tutti questi elementi.

Candidato ad essere uno dei film più amati dell'anno e probabilmente anche uno dei più premiati, la nuova opera di Tom Hooper è un film dai valori produttivi straordinari e dalla realizzazione fuori dal comune.
C'è una Londra nebbiosa e uggiosa, tutta lenti deformanti e colori spenti che dipinge un'epoca intera e contemporaneamente uno stato d'animo (quello del protagonista) anche con un frame solo. Ci sono tre attori probabilmente al loro meglio, uno dei quali (Geoffrey Rush) ha il physique du role del grande attore che piace a tutti, dell'intenso mestierante capace di dare vita al fermento culturale della mente con un'espressione del volto (non a caso emerso con Shine, film che ne ha messo a frutto le doti innate e ne ha segnato la carriera). C'è infine uno degli script più scaldacuore che si siano mai sentiti, scritto con rara arguzia. Tutto però finalizzato alla lacrima e mai al senso.

Per chi non lo sapesse Il discorso del Re parla di Giorgio VI, il re salito sul trono all'alba della seconda guerra mondiale, padre di Elisabetta II e fratello del legittimo erede, costretto a prendere il potere perchè questi era determinato a fare una vita dissoluta lontana dalle responsabilità. Giorgio VI era affetto da una balbuzie devastante che lo rendeva totalmente incapace di discorsi pubblici, un problemino da niente negli anni del boom della radio come strumenti di comunicazione con la gente. Dopo il fallimento di mille logopedisti arrivare Lionel Logue, australiano dai metodi poco ortodossi ma efficaci che prima di curare la lingua del futuro re ne sanerà la mente.

Dramma e commedia, una risata per ogni lacrima, buone intenzioni e gente di buona volontà a palate. Nel film di Tom Hooper non c'è un cattivo, non c'è un maleintenzionato. I regnanti sono magnanimi e pensano unicamente al bene della propria gente, Churchill è l'uomo più astuto e preveggente mai esistito (Timothy Spall in una delle più ridicole imitazioni mai viste) e le mogli sono devote senza se e senza ma.
I personaggi non sono tali, sono solo figure archetipe, tanto più stonate quanto più si suppone dovrebbero essere aderenti alla realtà. Ma il punto non è mai quello. Il discorso del Re non vuole dire qualcosa (se non mostrare i suddetti principi scaldacuore) vuole solo provocare la commozione nel momento della catarsi finale e per farlo è disposto a qualsiasi cosa. Tant'è che invariabilmente ci riesce e in più di un momento.
Se poi fare tutto ciò nella maniera migliore possibile, con una bravura, dei valori e un'abilità nettamente fuori dal comune per questo tipo di cinema, sia una giustificazione in grado di salvare il film o un'aggravante che lo affossa dipende da che tipo di spettatori siete.

Monday, November 30, 2009

A Christmas Carol (id., 2009)di Robert Zemeckis

POSTATO SU
Sono sempre piacevolmente stupito dai giganteschi specchi per allodole di Robert Zemeckis, cioè dal modo con il quale compie una scelta a tavolino di precisione millimetrica riguardo la commerciabilità di questi suoi ultimi film. Si tratta di cinema realmente sperimentale, tecniche mai adottate da nessuno il cui esito non è mai chiaro quando si inizia a lavorarci e che in ogni film subiscono una profonda revisione a causa del miglioramento della tecnologia in ballo, e per ottenere ogni volta nuovi fondi per il prossimo film Zemeckis si assicura che il tema trattato sia così commerciale ma così commerciale da attirare gente al cinema solo con un nome e una locandina.

Così dopo la favola natalizia e l'epica celtica arriva un'altra favola di Natale stavolta dal titolo di comprovata fama, una certezza per le famiglie consolidata da un adattamento Disney e infarcita di nomi noti.
Nelle mani di Zemeckis il libro di Dickens viene trasposto al cinema con una ricchezza di immagini inedita e sebbene molte cose si siano già viste poichè già altri film e/o cartoni hanno adattato il racconto con una certa fedeltà la tecnica del performance capture e il 3D, utilizzati entrambi con una cognizione di causa ed un'intelligenza che non si vedono sempre, rendono l'esperienza coinvolgente ed emozionante.

In America il film ha incassato poco ed è comprensibile, i toni sono molto cupi, le strizzate d'occhio al pubblico infantile poche e il ritmo non sempre sparato al massimo. A Christmas Carol è in sostanza un film più per adulti, capace in certi momenti di regalare momenti di coinvolgente riflessione sul modo con il quale guardiamo al nostro passato.
Ma è soprattutto la libertà espressiva che Zemeckis mette in campo ad impressionare, quando tutto ti è possibile cosa vuoi fare? Ecco le risposte che il regista dà in ogni momento hanno spesso il sapore del miglior cinema.
Tra cinema dal vero e animazione oggi si pongono questi film, esperimenti audaci che non è dato sapere a cosa porteranno ma che vale la pena andare a vedere in ogni caso.

Wednesday, November 25, 2009

Dorian Gray (id., 2009)di Oliver Parker

Come quando in Photoshop si dà l'ordine Merge Down fino a che da tanti livelli non ne rimane uno solo che li comprende tutti appiattendoli così dal merge di Dorian Gray rimane la doppia vita.
"Il mio Dorian Gray è come Mick Jagger, si chiede cosa fare quando puoi fare qualsiasi cosa?" da questa laconica affermazione del regista che sarebbe arduo anche solo cominciare a correggere prende le mosse un film "moderno" per giovani che gli rende appetibile il racconto di Wilde e anche per l'occasione educativo. Alla fine Dorian si pente di tutto e si condanna a morire per amore di una ragazza (ho detto ragazzA eh!).

Lui è Caspian, Colin Firth sembra Orson Welles (prima in versione Macbeth, poi Mr. Arkadin e infine invecchiato proprio Charles Foster Kane) e le scene di sesso perduto (?!?!) uno spot Campari. Si salva solo Rebecca Hall per meriti extracinematografici.

Monday, October 27, 2008

Easy Virtue (id., 2008)di Stephan Elliott

CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM 2008

La facile virtù del titolo è l'accusa che la protagonista (una pilota d'automobili americana) si vede continuamente fare dalla famiglia snob inglese del nuovo marito quando va a trovarla per la prima volta.

Come si intuisce dalla trama si tratta di un film tratto da un pezzo teatrale degli anni '30, di cui è stata mantenuta l'ambientazione d'epoca premendo l'acceleratore sulla comicità.
Il problema di Easy Virtue è che nonostante battute sagaci non fa ridere, non cerca una dimensione comica del cinema, non cerca di stupire, nè di intrattenere ma pretende di affascinare.
L'adattamento in sostanza non riesce e fa solo venire curiosità della versione muta che ne fece Hitchcock.

Le maschere fisse, come il maggiordomo impeccabile ma dalla battuta pronta o la mamma acida e possessiva, non vanno più in là della loro copertina e non si scorge proprio la volontà di girare qualcosa di buono, solo il tentativo di riprendere degli attori. Peccato.

Wednesday, October 1, 2008

Mamma Mia! (id., 2008)di Phyllida Loyd

A me Across The Universe era piaciuto e molto per una lunga serie di motivi che con il tempo si sono rafforzati e tutti riassumibili nel modo molto cinematografico di dare nuova veste visiva alla musica al cinema, cogliendo con intelligenza gli stimoli migliori dal lavoro fatto sull'audiovisivo musicale negli ultimi decenni.

Ecco perchè boccio senza appello Mamma Mia! e tutto il successo che ha avuto e che non mancherà di avere anche da noi, perchè si pone sulla stessa linea di Across The Universe (un musical moderno con musiche non originali di un gruppo solo dove la trama la si costruisce a partire dalle parole dei brani) ma ne azzera la componente innovativa ripiegando su una messa in scena banalissima, una storia lieve lieve e qualche trovata ruffiana come la musica che propone.

Se Across The Universe è come la musica dei Beatles (innovativo eppur godibile da tutti) allora Mamma Mia! è ruffiano, sempliciotto e di facile successo come la musica degli Abba.
In uno scenario cartolinesco di una Grecia fatta di anziani e olive si muovono le schermaglie amorose dei protagonisti destinate all'inevitabile lietissimissimo fine che non può che essere sempre e comunque un'unione matrimoniale.

La regista viene dal teatro, cioè non dal cinema e si vede, l'unica scelta degna di questo nome è di puntare sulla dominante azzurra (e la sequenza d'apertura sul blu notte e il giallo), ma per il resto il film si ferma lì. I numeri musicali sono quanto di più banalmente retrogrado si possa immaginare senza contare la volontà di puntare sull'effetto divertimento di far scimmiottare a gente solitamente posata come Pierce Brosnan (perchè l'hai fatto Pierce??) i vestiti e i modi degli Abba. Stratagemmi da Buona Domenica.

No. Io dico no a Mamma Mia!. Senza se e senza ma.