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Tuesday, October 19, 2010

Figli delle stelle (2010)di Lucio Pellegrini

POSTATO SU
Se Lucio Pellegrini ha un posto nel cuore degli amanti del cinema che si ostinano a non mollare la presa sul cinema italiano è grazie al suo esordio come sceneggiatore e regista, E allora Mambo!, film che non solo trovava una vena comica tra le più felici degli ultimi anni ma che riusciva anche a raccontare una storia operando un arco narrativo perfetto. Nessun tempo morto, nessuna scena superflua, nessuno sbandamento. Semplicemente perfetto. Ma lì c'era Fabio Bonifacci alla sceneggiatura...

Figli delle stelle arriva ora dopo il lavoro alla serie tv di Non Pensarci e qualche altro exploit meno felice. E arriva con un cast nutrito (leggi: con un buon investimento produttivo) e una troupe tecnica di prim'ordine. Tutto supportato da un'idea di quelle che possono rendere una commedia qualcosa di più che un film da ridere. Peccato che tale idea (che è contemporaneamente idea di contenuto e forma) arrivi troppo tardi e duri troppo poco.

Si racconta di un gruppo di disperati (un ex carcerato, un precario, un manovale, un nostalgico degli anni di piombo e una giornalista televisiva) i quali, sfiancati ognuno per proprie ragioni dalla situazione politico-sociale, decidono di rapire il ministro dell'economia. Come sempre nei film italiani si sbagliano e rapiscono un sottosegretario che, non solo conta poco, ma è anche un povero diavolo.
L'impressione di "italiani un po' cialtroni ma con tanto cuore" che può suscitare il resoconto della trama è effettiva nella prima parte del film, la più debole. Quando però ci si trasferisce in Valle d'Aosta per nascondere l'ostaggio cambia tutto e il film comincia a trovare vero senso.
Gli spazi aostani e soprattutto l'architettura anni '80 modernista, che sembra prefigurare un impossibile futuro mai arrivato, fa il paio con i costumi (si vestono con quello che trovano). Tute e abiti da sci sempre usciti dagli anni '80 che ricordano gli abiti futuribili della fantascienza giapponese anni '90 (cioè di poco succesiva), ma che erano la tragica realtà di anni in cui si sperava nel futuro anche con l'abbigliamento. Si respira insomma davvero un'aria di sconfitta e nostalgia in primis con le immagini.

Anche la trama poi fa un salto in avanti: si ride di più e con più arguzia, andando a parare in territori decisamente più interessanti. E' quindi un peccato che il senso vero arrivi così tardi e che il film si chiuda con un tramonto sul mare, simbolo imperituro di acquiescenza all'italiana. Si rischiava il beppegrillismo antipolitico, si era trovata una vena felice e si è smorzato per non rischiare su nessun fronte. E dire che un Pierfrancesco Favino così in forma non lo si vedeva da tempo...

Saturday, September 4, 2010

La passione (2010)di Carlo Mazzacurati

POSTATO SU
IN CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2010

Con qualche sceneggiatore in prestito dalla fucina Fandango (che infatti produce) e qualcuno dal team di Silvio Soldini, Carlo Mazzacurati mette in piedi il suo script più vivace, divertente e autenticamente malinconico. In più questa volta la scelta che spesso appare scontata di avere Silvio Orlando come protagonista è davvero un'idea di casting azzeccata e giusta.

Sebbene si racconti ancora di un regista in crisi, questa volta l'idea di narrare con umorismo contagioso e intelligente la discesa all'inferno di un uomo una volta di successo che, confinato in provincia, si trova costretto a dirigere la rappresentazione della passione di Cristo per la processione del Venerdì santo, trova un piega particolarmente audace.
Questo perchè il regista interpretato da Orlando finisce davvero in un incubo personale nel quale da una parte cerca di evitare di finire in galera (è per questo che dovrà dirigere la processione) e dall'altra di salvare la sua carriera (contemporaneamente dovrebbe essere a Roma a stringere un contratto importante per il suo primo film dopo 5 anni di silenzio), finendo unicamente per essere sempre più disilluso e disperato.

La cosa migliore è che la provincia non sembra per nulla quell'alveo salvifico che spesso si mostra sullo schermo, anzi è il gorgo malefico che imprigiona, nel quale non prendono i telefoni cellulari, tutti sono meschini e piccoli e un regista di successo è costretto ad inchinarsi letteralmente di fronte all'arrogante star della tv regionale (un amgnifico Guzzanti, ma perchè non fa mai il caratterista??).
Peccato davvero che il film perda tutto (ma proprio tutto!) nel finale, chiudendo nel peggiore dei modi (sia contenutistico che formale) quello che poteva essere un film interessante davvero e riportando lo spettatore, a quel punto speranzoso, alla dura realtà.

Friday, April 30, 2010

Cosa voglio di più (2010)di Silvio Soldini

POSTATO SU
Togliendo rapidamente qualsiasi dubbio lo scrivo subito: Cosa voglio di più racconta la solita storia, uomo e donna, sistemati affettivamente e familiarmente che si incontrano e scoprono una passione che li spingerebbe a mollare tutto per ricominciare un'altra vita insieme.
Tuttavia, se dovessimo fare piazza pulita di tutte le storie di questo tipo che debordano dalla fucina creativa (??) del cinema italiano per lasciarne uno solo l'anno, questa dovrebbe essere la prescelta dell'annata.

Al contrario di molti altri Soldini ci tiene realmente a fare questo racconto e ha una chiara visione di cosa significhi quel sentimento che arriva in quel contesto socio-economico. Molto si è parlato del film come "l'amore al tempo della crisi" ma è un po' più questo, perchè se lo sfondo quello è, è anche vero che i protagonisti di loro non si trovano in situazioni economicamente invidiabili e quindi una storia simile si sarebbe potuta verificare in qualsiasi altro momento storico. E' semmai il pubblico di oggi che guardandola trae determinate conclusioni sulla propria esistenza attuale.
Inoltre Cosa voglio di più non è nemmeno un film sull'amore o sui sentimenti ma sulla volontà umana e l'opportunità di compiere delle scelte per la propria esistenza.

Cosa voglio di più è un film molto schematico, si occupa prima del personaggio di Alba Rohrwacher, poi di quello di Favino e poi di tutti e due insieme. Mostra i controcampi del tradimento e più che cercare di mettere in scena l'azione del tradire (che per dire è ciò che appassiona Muccino, quanto il tradimento somigli ad un thriller) mostra il movimento interiore che il desiderio di un'altra vita scatena.
Essendo cineasta serio, Soldini per raggiungere l'obiettivo non usa solo i dialoghi (come sempre nei suoi film molto accattivanti) ma soprattutto i suoni, le immagini, il panorama di periferia milanese e i corpi dei due personaggi, da cui le molte scene di nudo che hanno attirato l'attenzione della stampa svogliata e che in realtà sono davvero interessanti.

C'è un momento in cui tutto è più lampante che nel resto del film, quando Anna (Alba Rohrwacher) è ad una lezione serale di pittura, un momento connotato con infamità da colori, ambiente, corpi presenti e tono delle immagini, ad un certo punto sentiamo un tonfo basso, profondo, simile ad un battito di cuore amplificato e Anna ha un sussulto come se il rumore venisse da dentro di lei, il controcampo mostra che sono due amanti che baciandosi sbattono contro la vetrina, il campo mostra Alba che capisce cosa dovrà fare.

Friday, October 31, 2008

Si Può Fare (2008)di Giulio Manfredonia

ANTEPRIMA
FESTIVAL DEL FILM 2008

Se c'è una cosa che sappiamo fare è questo cinema che racconta storie di derelitti con un tono scanzonato, ridendone di gusto e lasciando passare qualche lacrimuccia di gioia per come questi poveracci poi trovino la felicità. Film che a modo nostro ci fanno sperare che esista un mondo migliore.

Mi viene da pensare allora che la vera grandezza di Mio Fratello E' Figlio Unico è di essere partito da questo genere per elevarsi ed eliminare tutte le mille piccole ruffianerie, gli espedienti di bassa lega e la pessima sceneggiatura per diventare un prodotto serio che mantiene solo i pregi di questo modo di fare commedia amara.

Si Può Fare invece è un tipico esponente della categoria. Manfredonia lascia mano libera ad un gruppo di attori che si divertono ad interpretare i malati di mente come ce li immaginiamo (l'unico un minimo interessante è Franco Ravera, già visto nei panni di un matto in La Ragazza Sul Lago) e Claudio Bisio è bravissimo a lasciare che la comicità rifluisca attraverso di lui per finire su di loro. Ma oltre a trovate davvero molto divertenti c'è il deserto della ruffianeria e della stupidità.

Si sceglie un tono favolistico (i matti che lavorano come montatori di parquet e al primo giorno gli danno in mano la motosega) ma non lo si segue fino alla fine pretendendo di convincere lo spettatore che davvero sia possibile una cosa simile (alla fine un serie di scritte con i dati sulle cooperative di malati di mente sono funzionali in questo senso).
A fronte di molte scene divertenti ce ne sono tantissime scritte in maniera pessima (Bisio e la Caprioli sul tetto per dirne una) e lo svolgimento risponde al più trito dei canovacci (se forse avrei potuto accettare che delle ragazze dell'alta società milanese escano con dei matti, di certo non accetto che escano con dei montatori di parquet!).
Ancora peggio si pretende di far passare l'idea non che i malati di mente siano normali ma che siano meglio delle persone normali.

Thursday, April 3, 2008

Non Pensarci (2007)di Gianni Zanasi

POSTATO SU

I film italiani, questo va ammesso, sono mediamente divertenti, nel senso che le commedie le abbiamo sempre sapute fare e in linea di massima (escludendo la produzione popolare e cinepanettonistica) sono quasi sempre film riusciti dal lato umoristico e solo raramente riusciti come opera tout court. Eppure raramente si è riso di gusto e con intelligenza come con Non Pensarci.

Sarà che non conosco bene la filmografia di Zanasi, sarà che Mastandrea è forse il miglior attore italiano al momento (anzi da molto tempo) e che ha un talento tutto particolare per lo humor, fatto sta che Non Pensarci è stata una sorpresa bellissima.
Certo non è in gara come miglior film della stagione, ma come dissi già per l'altra sorpresa di quest'anno, Bianco e Nero, è cinema medio e magari (MAGARI!) il nostro cinema medio fosse tutto così!! Scritto con intelligenza, diretto con sobrietà e in grado di impiegare professionalità (dagli attori ai montatori ai fotografi ecc. ecc.) di tutto riguardo.

Non Pensarci non è un'opera totalmente spensierata, ma una commedia dai toni spesso amari come è nostro tipico, tenta una riflessione sulle crisi d'età, sul vivere difficile anche a livelli di reddito alto, e sulle dinamiche familiari e provinciali. Certo non c'è nulla di sensazionale nè nulla di nuovo, tuttavia tutto contribuisce ad un ritratto nel complesso intrigante e non stupido.

In più aggiungiamoci che in più di una sequenza si respira aria di cinema vero, fatto di immagini che dialogano tra di loro, di espedienti di montaggio, uso della colonna sonora e rispetto delle capacità di comprensione dello spettatore.
Forse è da questo tipo di produzione media che toccherebbe ricominciare e rifondare tutto. Forse.