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Monday, January 24, 2011

Il Grinta (True Grit, 2010)di Joel e Ethan Coen

POSTATO SU
Anche i punk e i dissacratori di professione arrivano ad un punto nella loro carriera (se vivono sufficientemente a lungo) in cui cantano Strangers in the night senza distorcerla e solitamente lo fanno bene. I fratelli Coen, che della mescolanza dei generi sembravano aver fatto una regola e che sono in grado di piegare qualsiasi storia al proprio volere, ora hanno realizzato un western puro e semplice, senza deviazioni.
Rispetto a Il Grinta originale infatti le modifiche sono poche ed essenziali. Scompare il prologo (che è raccontato e non mostrato) e si guadagna un epilogo, in linea con la lettura che danno di tutta la storia, si sposta l'asse del protagonismo verso la bambina e il Rooster Cogburn di Bridges è molto più un disperato, rovinato alcolizzato di quello di Wayne (è più Drugo insomma). Per il resto tutto uguale, compresi ampi tratti dei dialoghi.

La storia è quella di un bambina in cerca di soddisfazione dopo l'uccisione del padre da parte di un criminale. Gli sceriffi hanno altro da fare e dunque si rivolge a chi possa fare il lavoro per soldi. Potendo scegliere va da Rooster Cogburn (detto il grinta in italiano e in originale noto per avere "true grit", vero coraggio), notoriamente il più sanguinario degli uomini di giustizia e lo convince ad accettare il lavoro e portarla con sè con una pervicacia che è l'essenza stessa del film.
Se dunque in generale lo spirito è autenticamente e nettamente western (quelli un po' più complessi di Anthony Mann), rifiutando qualsiasi variazione moderna del genere (ma in sè Il Grinta, con il suo antieroismo, era già moderno all'epoca) i Coen si concentrano su altro. Per farlo, incredibile ma vero, rinunciano anche alla caratteristica numero uno di tutto il loro cinema: l'affermazione di un mondo dominato dalla casualità. Nel loro Grinta la religione è ovunque, regola tutto e alla fine la legge di "giustizia universale" proclamata all'inizio (quella per la quale chi fa un torto dovrà pagare) si avvererà. Tutto risponde ad un ordine che è religioso e reso possibile dalla violenza metodicamente ricercata dalla bambina tanto timorata di Dio.

Il loro interesse primario sembra infatti la morte e la spregiudicata efferatezza del West, come se volessero demistificarlo. Continuamente è sottolineata la presenza dei cadaveri, ognuno di essi si guadagna più di un'inquadratura spesso osservati dalla bambina che si allontana per procedere nel suo percorso. I cadaveri sono tutto ciò che i due continuamente si lasciano dietro, la violenza è tutto ciò che generano con il loro viaggio di vendetta. Non mancano particolari pulp (lingue strappate o inquadrature utili a mostrare la violenza di uno sparo ravvicinato).
Questa dimensione è talmente forte da escludere anche quella che solitamente è la caratteristica principale del West classico, i grandi spazi. Il West dei Coen somiglia moltissimo a quell'altro ovest di Non è un paese per vecchi, medesimi paesaggi, medesima desolazione, tutto il contrario delle verdi montagne dell'originale.
Anche l'epilogo aggiunto non fa che confermare l'efferatezza del mondo western, sia in senso fisico e morale. E come nel libro da cui vengono entrambi i film ci si chiede di chi sia la true grit ("autentico coraggio") del titolo, se di Cogburn o della bambina.

Wednesday, December 2, 2009

Si, dico proprio a voi!

Io ve lo dico subito perciò poi non venitevi a lamentare: quest'ultimo film dei fratelli Coen è un vero capolavoro, il migliore della loro onorabile carriera, ma non vi piacerà.
Non piacerà a voi che volete che un film dia risposte, che volete uscire dalla sala pensando a quale sia la morale da trarre o cosa volessero dire gli autori, voi che se non si capisce come va a finire vi infastidite e che non sapete accettare che non è la trama a contare ma come essa ci venga raccontata. Non vi piacerà perchè questo film cerca un senso nel suo continuo gridare all'assenza di senso nella realtà e specialmente nelle storie che ci raccontiamo. Non vi piacerà perchè comincia con un antefatto, una storiella ebraica di una famiglia visitata da uno spirito, e per quanto vi sforzerete di trovare un senso al fatto che i Coen abbiano messo quella storia all'inizio del film non lo troverete o vi toccherà arrampicarvi sugli specchi, perchè un senso non c'è e quella storia è lì a dimostrare questo. Come molte altre delle storie raccontate nel film non insegna nulla.

L'impresa folle di fare un film per comunicare che le storie (e quindi i film) non hanno senso per le nostre vite è ciò che di più alto, audace e diretto i fratelli Coen abbiano mai tentato su un tema che caratterizza tutti i loro ultimi film. Eppure la storia di questo professore ebreo negli anni '60, quest'uomo serio, che sembra tanto un uomo che non c'era per quanto la sua vita è grigia, anonima, noiosa e per quanto la sua figura è evanescente a confronto della colorita umanità che lo circonda, è piena di eventi: a casa le cose vanno male, la moglie vuole divorziare, i figli fanno quello che vogliono, il fratello con problemi mentali si caccia continuamente nei guai, il vicino si prende le libertà che vuole con il suo giardino e al lavoro il tono non è migliore, uno studente lo minaccia e i superiori potrebbero non dargli l'agognata promozione.

Si ride e ci si preoccupa molto nel corso del film ma alla fine lo schermo nero con la dicitura "Un film di Joel e Ethan Coen" arriverà prima che le diverse storie si siano risolte, troncando una splendida sequenza che sembra far presagire altri risvolti nelle trame. Ecco quando arriverà quel momento con le note di "Somebody to love" dei Jefferson Airplane (canzone che risuona in tutto il film, ma senza motivo non temete!) e voi vi lamenterete perchè non saprete mai come andrà a finire la storia non venitevi a lamentare con me, io ve lo dico ora che le cose stanno così e che proprio per questo motivo questo film è il più grande che i fratelli Coen abbiano mai fatto. Perchè ha l'audacia di affermare il proprio intellettualismo senza remore, l'audacia di porsi un obiettivo altissimo e di raggiungerlo diventando un racconto di straordinaria moralità e valore che continuerà a farci ronzare in testa domande sul senso di quello che facciamo e di quello che guardiamo o leggiamo per mesi a venire (se non anni, ma quello dipende da voi).

A voi che lo sconsiglierete ai vostri amici determinando l'inevitabile insuccesso commerciale di quest'opera straordinaria chiedo almeno di provarci ad avvicinarvi a questo film con un po' di audacia e curiosità intellettuale per lasciarvi colpire a livello sensoriale (questa volta la fotografia non è di uno dei due fratelli come al solito ma del grandissimo Roger Deakins, ed è un orgasmo dopo l'altro) e a livello intellettuale da una storia piena di senso che grida all'assenza di senso nelle nostre vite.

Thursday, October 22, 2009

A Serious Man (id., 2009)di Joel e Ethan Coen

POSTATO SU
FUORI CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM DI ROMA 2009

Raramente ho visto un finale simile, così appropriato, devastante e significativo. Così alto!
Ma devo innazitutto premettere tre cose: primo non sono un malato dei Coen, ho visto i loro film (tutti credo) e mi piacciono un po' come a tutti, senza strapparmi i capelli; secondo questo film non ha mezze misure e la gente credo lo odierà; terzo sembra sempre di più che i Coen e Tarantino siano come andati alla stessa scuola, sono diversi e fanno cose diverse ma intimamente sono identici. C'è in entrambi un gusto per il racconto di storie e storielle, un godimento nel realizzare piccoli quadretti con personaggi cesellati, che non è paragonabile a nessun altro.

Detto questo mi sento di annunciare che finalmente (FINALMENTE!) i fratelli Coen hanno fatto il salto di qualità e sono passati da film ottimi ad un autentico capolavoro. Con un po' più di audacia rispetto al passato hanno preso i loro temi e le loro caratteristiche (siamo dalle parti di L'Uomo che non c'era) e hanno deciso di usarle per fare un discorso molto più complesso del solito, senza dare carote agli spettatori ma solo bastonate.

C'è un vecchio modo di dire che spesso faccio mio ma che non lo è che spiega cosa sia un noir: "Un film che parla di un mondo in cui è facile morire e difficile amare", i Coen hanno fatto talmente propria quest'idea e questo genere che ora pervade ogni cosa che fanno. Questa pseudo commedia ambientata in una comunità ebrea degli anni '60 ha un senso di morte incombente in ogni inquadratura, anche nei pratini tagliati (anche se non muore quasi nessuno (e comunque accade fuori scena con una tecnica sinceramente mai vista di montaggio alternato che inganna lo spettatore ma solo a metà, per capirlo dovete vederlo)). Non si tratta di quell'inquietudine lynchana, è proprio il noir privato di ogni altro costrutto, privato degli impermeabili, delle voci off, delle sigarette e delle pistole. L'amore non esiste (al massimo c'è il sesso) come del resto nemmeno il senso.

A serious man parte dalla cultura ebraica (per la quale tutto sempre ha un senso e lo si comunica con le storie) per distruggerne le fondamenta (che nulla abbia senso lo si ripete mille volte) attraverso il racconto di alcuni devastanti giorni nella vita di un altro uomo che non c'era, uno che attraversa la vita passivamente e che viene però messo a contatto con alcune svolte imprevedibili.
Ci sono i personaggi assurdi coeniani, ci sono i momenti di sogno e c'è l'insostenibile peso di un fato che si accanisce ma questa volta nulla ha realmente senso, come ci si accanisce a ripetere più volte, questa volta tutti procedono incessantemente verso una morte che è annunciata in ogni segmento (e qui sta il genio, a rendere scene normali delle epifanie mortuarie) ma che non arriva mai a sanare i conflitti o a risolvere le trame che infatti rimarranno tutte insolute.
Quell'ultima inquadratura che potrebbe essere l'ultima immagine di un episodio di un serial tv che deve tenere gli spettatori avvinti fino alla puntata successiva vi farà capire cosa intendo.

Tuesday, September 30, 2008

Burn After Reading - A Prova Di Spia (Burn After Reading, 2008)di Joel e Ethan Coen


Nonostante credessi il contrario mi sono reso conto subito che più che seguire la scia delle ultime commedie pure (Fratello Dove Sei, Prima Ti Sposo E Poi Ti Rovino) Burn After Reading segue direttamente l'altro filone dei Coen e più precisamente Non E' Un Paese Per Vecchi. Ne ha il medesimo impianto, la medesima visione di mondo caotica e inspiegabile e la medesima tipologia di intreccio violento, tutto focalizzato su un bene (lì i soldi qui un CD) che ad un certo punto diventa puro pretesto (il McGuffin) per mostrare le diverse reazioni umane allo sconvolgimento del proprio equilibrio. Solo che ovviamente Burn After Reading opta per una visione ironica dei medesimi fatti.

Con tutta probabilità sarebbe possibile rigirare anche Non E' Un Paese Per Vecchi in chiave comica, senza modificare in nulla la storia e i significati del film. E' solo una questione di forma.
I Coen oscillano tra le loro passioni i loro stili e probabilmente anche ciò che gli conviene (le commedie solitamente vanno meglio e attraggono di più i favori del pubblico) ma rimane invariato il momento che vivono, le cose pensano e che decidono di veicolare con il cinema.

E' sempre presente infatti la visione violenta della vita reale, che è l'unica autentica eredità lasciata dal pulp e dagli anni '90. Uccisioni molto violente mostrate in maniere esplicite ma sempre ironiche (anche nei film più seri) in contesti che solitamente non sono le sedi della violenza e spesso perpetrate con mezzi "alternativi", cioè armi non convenzionali come bastoni, chiavi inglesi, compressori ecc. ecc. Proprio nel senso di violenza del quotidiano, che avviene in fretta e con quello che si ha a disposizione come nei fatti di cronaca. In questo il massimo topos coeniano è l'uomo in calzini, ciabatte, mutande, canottiera e vestaglia che va a farsi giustizia con violenza.

Divertente infine come tendano spesso a saltare i momenti topici. Sia in Non E' Un Paese Per Vecchi che in questo film c'è una morte molto importante (tra le tante) e non è mostrata ma raccontata da qualcun altro oppure mostrata solo dopo l'avvenimento, quando solitamente l'uccisione di un personaggio tra i protagonisti è un momento di punta del climax narrativo che come tutti i momenti topici offre mille possibilità di "fare la differenza" ovvero rispettare o tradire le aspettative del pubblico, aderire o distanziarsi dal solito. I Coen invece lo fanno raccontare come nella tragedia greca dove il coro annuncia le morti.

Ah! E finalmente Brad Pitt è bravo sul serio. Ma tanto i Coen fanno recitare bene tutti...

Monday, February 18, 2008

Non E' Un Paese Per Vecchi (No Country For Old Men, 2007)di Joel e Ethan Coen

POSTATO SU

L'attesissimo nuovo film dei fratelli Coen è un ritorno alle origini, un ritorno a Blood Simple come atmosfere, ritmo e intenti.
Ad essere ripresa è sempre l'America degli stivaloni e delle camicie a scacchi, quella in cui anche se non si va a cavallo è come se lo si facesse, in cui l'etica western domina. Ed è curioso come i due fratelli notoriamente liberali dipingano sempre, e con partecipazione rara, il mondo conservatore (a questo proposito è molto significativo oltre che molto bello il loro segmento del film collettivo Chacun Son Cinema).
In Non E' Un Paese Per Vecchi la loro simpatia va oltre ogni ragionevole dubbio verso lo sceriffo Tommy Lee Jones (che credo nemmeno si sia cambiato d'ambito dopo Nella Valle Di Elah) prigioniero di un mondo che non gli piace e che non riconosce. E' verso il suo passatismo e conservatorismo che loro volgono lo sguardo pietoso. Nonostante la storia sia un'altra è quello il vero cuore del film.
A tirare la trama infatti è una questione di soldi (meraviglioso e classicissimo espediente cinematografico), una valigetta contenente un paio di milioni di dollari, persa da corrieri della droga e ritrovata da un bifolco che sente l'odore dell'occasione della vita. A cacciarlo un killer efficace e spietato.
Dunque dietro l'intreccio che è costituito dalla pura caccia, c'è il mondo dei Coen, fatto di strade polverose e omicidi che se non sono freddi (quelli del killer), sono terribilmente sofferti. Un mondo fatto di efferatezza e disperazione ma che è sempre visto con l'occhio ironico.

Non sono certo gli ultimi arrivati i fratelli Coen e in molti, moltissimi punti realizzano scene che parlano con il miglior linguaggio filmico eppure va ammesso che Non E' Un Paese Per Vecchi non è tra i loro migliori exploit, più inquadrato nelle regole canoniche e per certi versi meno spietato nel presentare una visione di mondo o di cinema il film scorre bene e si eleva sopra il cinema medio perchè diretto con abilità rara, ma non riesce ad arrivare alle vette di altre loro opere.
Non E' Un Paese Per Vecchi è semmai uno straordinario passo in avanti per l'evoluzione del genere dei film con al centro una valigetta piena di soldi contesa da più parti (hanno un nome? rientrano nei gangster movies?). Il suo linguaggio è rilassatissimo e molto compassato, racconta senza fretta una caccia al cardiopalma non avendo paura di esagerare nel tracciare figure borderline (il killer di Javier Bardem).