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Monday, February 28, 2011

The Fighter (id., 2010)di David O. Russel

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Fatto vero, sport, interpretazioni mimetiche, fisici plasmati per il ruolo, recitazione sopra le righe. Il format è perfetto, il risultato meno.
The Fighter racconta la vera storia di un pugile proveniente dalla provincia americana, fratello di un altro pugile, alla sua epoca famoso e di moderato successo (e non manca mai di rimarcarlo) ma ora perso nella droga. Il minore cerca di emergere e farsi una carriera mentre il maggiore cerca attraverso di lui di rivivere la propria e una famiglia ingombrante gli tarpa le ali per egoismo. Solo una donna potrà salvarlo.

In controluce si legge Rocky, e molto. E questo non perchè ogni qualvolta si filmi una storia di pugilato si debba pensare al film di Stallone, quanto perchè questa storia di pugilato è una storia di fisici piegati dalla volontà, di un uomo che quando trova l'equilibrio interiore trova anche quello fisico, una storia di seconde occasioni e di sportivi che si fanno artefici del proprio destino attraverso peripezie personali disperate.
L'ingombrante Christian Bale esagera come suo solito, si guadagna un Oscar e a modo suo vince la partita. Il film però perde in mano ad un regista che sceglie di riprendere la boxe imitando la televisione (forse l'esigenza di "realismo") e che si affida all'esagerazione dei caratteristi per rendere l'idea del dramma.

Ad emergere davvero quindi è solo Amy Adams. "Solo" perchè è solo lei e "solo" perchè è totalmente sola, persa in mezzo ad un film che procede seguendo la poco romanzesca riga dei fatti veri (in questo di fatto rivalutando l'incredibile sforzo di The Social Network) con aspirazioni e sentimentalismo alla buona.
Là dove il "potevo essere qualcuno" di Fronte del Porto incrocia l'"Adriana!" di Rocky si piazza The Fighter.

Friday, May 7, 2010

Notte Folle a Manhattan (Date Night, 2010)di Shawn Levy

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La città di notte non è come la città di giorno, il cinema ce lo racconta da decenni. Da Fuori Orario a Cuba Libre fino a I Guerrieri della Notte l'estetica cittadina notturna è stata ridefinita come un far west o come lo spazio profondo, luoghi in cui può succedere di tutto e nei quali le regole e i diritti civili non valgono più. La legge o non esiste o è contro di te, gli uomini mangiano gli altri uomini, le donne attirano solo per poi respingere e chi ti vuole aiutare cerca in realtà sempre di fregarti.

Shawn Levy a questo tipo di racconti si era già avvicinato con i due Notte al museo, nei quali di notte il mondo del giorno si sovvertiva all'insegna dell'anarchia, similitudine gioiosamente caotica delle drammatiche avventure metropolitane sopracitate. Ora con Notte folle a Manhattan esce dal luogo chiuso e racconta con i toni della commedia proprio quel mondo dalle regole tutte sue.
E proprio in questo sta il merito maggiore della commedia cioè di tradurre un immaginario e un tipo di cinema solitamente drammatico, violento e disperato nel linguaggio della commedia dove regnano il sovvertimento delle parti, l'inganno, il senso del ridicolo e via dicendo.

L'edizione italiana però soffre del doppio problema doppiaggio/adattamento. Steve Carell e Tina Fey non rendono doppiati e molte battute sono adattate in maniera palesemente poco rispettosa del testo di partenza. La cosa che rimane tuttavia è il fortissimo ritmo che la commedia si porta dietro. La girandola di eventi che prende i protagonisti e li trascina nel gorgo della vita notturna è molto ben reso grazie a diversi espedienti e non ultima la scelta di riprendere in digitale (il che implica la possibilità di riprendere anche con poca luce).

Thursday, November 26, 2009

Amabili Resti (The Lovely Bones, 2009)di Peter Jackson

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Ad ogni film Peter Jackson sembra migliorare. Le sue trovate si fanno sempre più sofisticate, le idee di messa in scena più raffinate, le ambizioni più alte e l'audacia tecnica più controllata, eppure i film sembrano essere sempre peggiori e Amabili Resti purtroppo non fa eccezione.

Dopo la monumentale impresa di Il Signore Degli Anelli doveva essere diventato il re degli adattamenti letterari al cinema e invece il punto debole di Amabili Resti è proprio quello, cioè che la vicenda è stata ridotta per lo schermo lasciando tantissimi buchi e personaggi apparentemente inutili.
Eccezion fatta per la protagonista e l'omicida (a quando un film di primo piano con Stanley Tucci protagonista?) gli altri personaggi non hanno spessore e spesso le loro azioni hanno poco senso. La famiglia di Suzie non ha personalità nonostante si intuisca come ogni singolo membro potrebbe averla, la madre ad un certo punto va a cogliere mele nelle piantagioni senza ragione apparente, il ragazzo amato e la ragazza che la vede dopo la sua morte non hanno nessuna psicologia nonostante siano presenti in ruoli che sembrerebbero determinanti e infine la nonna (interpretata da Susan Sarandon) subisce un cambio di carattere che non ha nessuna motivazione.

Tutto ciò che nel libro è costruito con un senso e un percorso preciso arriva nel film frettolosamente e alle volte senza quelle basi e quelle motivazioni che gli davano significato. In più il paradiso, o la zona di mezzo, in cui staziona l'anima di Suzie è pari pari quello di Al di là dei sogni (ma proprio tutta la pellicola sembra parente di quel film), stessa ambientazione digitale colorata e new age e stesso rapporto con la realtà.

Se la forza di Peter Jackson torna ad esplodere in alcune sequenze isolate come quella della sorella nella casa dell'assassino o un'altra fantastica in cui pur tenendolo costantemente sullo sfondo riesce a concentrare l'attenzione di tutto il pubblico verso un personaggio mai visto fino a quel momento, o ancora quando sperimenta punti di inquadratura e visuali impossibili con la normale attrezzatura utilizzando una microcamera comprata in una televendita televisiva (sic!), il resto del lungo film (2 ore e passa) è sostanzialmente monocorde.
Solo nel finale, quando la voce fuoricampo della protagonista tira le fila di quel che è successo spiegando il senso del titolo "amabili resti" si intuisce cosa poteva (e forse doveva) essere il film e che non è stato.

Tuesday, June 10, 2008

E venne il giorno (The Happening, 2008)di M. Night Shyamalan

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Peggio di Signs, peggio di The Village e peggio di Lady In The Water.
Più suspense da quattro soldi, più dialoghi insulsi, meno interesse nei personaggi, molto meno rispetto per lo spettatore e più interesse a dire una cosa sola e fortissimo senza però curarsi di dargli una forma, un contorno e delle motivazioni accettabili.
La parabola discendente di Shyamalan sembra ormai inarrestabile, incapace di mettere a frutta un'abilità indubbia nell'orchestrare scene e girare il regista si ostina a scrivere in autonomia i suoi film con il risultato di polpettoni buonisti funestati da personaggi cui è impossibile credere anche solo per un attimo, sempre e solo funzionali al più immediato dei risultati e alla più scontata delle morali (dobbiamo rispettare la natura altrimenti si ribellerà contro di noi).