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Wednesday, April 21, 2010

Agorà (id., 2009)di Alejandro Amenabar

POSTATO SU
La dimostrazione che la forza sociale del cinema e il valore comunicativo del racconto audiovisuale non sono morti è, ancora una volta, la conversazione che si instaura intorno ad un film senza che la gente lo abbia visto o, se non altro, senza che si tenga conto della sua reale possibile attrattiva.
Di Agorà si era detto che era il film che non volevano farci vedere, che non sarebbe arrivato in Italia perchè il Vaticano lo bloccava, che era l'ennesimo esempio di censura ecc. ecc. Alla fine ci arriva qui in Italia e dopo averlo visto provo pietà per la società di distribuzione che ha tentato l'impresa.

Si tratta di un film su Ipazia d'Alessandria, figura realmente esistita, donna astronoma vissuta nel momento in cui la religione cattolica diventava quella ufficiale dell'impero romano (a dispetto di quella pagana) e discriminata per il suo sesso nonostante le brillanti intuizioni riguardo il moto dei pianeti.
Siccome i cattolici in questo film sono quelli vestiti di nero che picchiano, uccidono e commettono soprusi si è gridato al "vogliono censurarlo", senza notare che il film è bruttino forte, noioso forte e didascalico forte.

Nonostante una ricostruzione del periodo dalle idee interessanti, una concezione di base non banale di come la storia si inserisca in una dimensione più grande (continuamente Alessandria è contestualizzata con visioni dallo spazio a stringere o ad allontanarsi) e alcune trovate da grande regista quale Amenabar rimane (la sassaiola che sembra una sparatoria), lo stesso Agorà è schiacciato sotto il peso di una missione presa troppo sul serio. Raccontare soprusi su soprusi (i cattolici sui pagani, gli uomini sulle donne, la forza sulla scienza) senza che il film sia libero di respirare. E quando non ci sono soprusi manichei ci sono lezioni di astronomia da video didattico per licei. Non si intuiscono davvero le motivazioni delle due fazioni!
L'unica domanda sulla quale vale la pena interrogarsi è come un abile narratore quale è Amenbar sia caduto in una simile trappola.

Thursday, November 26, 2009

Amabili Resti (The Lovely Bones, 2009)di Peter Jackson

POSTATO SU
Ad ogni film Peter Jackson sembra migliorare. Le sue trovate si fanno sempre più sofisticate, le idee di messa in scena più raffinate, le ambizioni più alte e l'audacia tecnica più controllata, eppure i film sembrano essere sempre peggiori e Amabili Resti purtroppo non fa eccezione.

Dopo la monumentale impresa di Il Signore Degli Anelli doveva essere diventato il re degli adattamenti letterari al cinema e invece il punto debole di Amabili Resti è proprio quello, cioè che la vicenda è stata ridotta per lo schermo lasciando tantissimi buchi e personaggi apparentemente inutili.
Eccezion fatta per la protagonista e l'omicida (a quando un film di primo piano con Stanley Tucci protagonista?) gli altri personaggi non hanno spessore e spesso le loro azioni hanno poco senso. La famiglia di Suzie non ha personalità nonostante si intuisca come ogni singolo membro potrebbe averla, la madre ad un certo punto va a cogliere mele nelle piantagioni senza ragione apparente, il ragazzo amato e la ragazza che la vede dopo la sua morte non hanno nessuna psicologia nonostante siano presenti in ruoli che sembrerebbero determinanti e infine la nonna (interpretata da Susan Sarandon) subisce un cambio di carattere che non ha nessuna motivazione.

Tutto ciò che nel libro è costruito con un senso e un percorso preciso arriva nel film frettolosamente e alle volte senza quelle basi e quelle motivazioni che gli davano significato. In più il paradiso, o la zona di mezzo, in cui staziona l'anima di Suzie è pari pari quello di Al di là dei sogni (ma proprio tutta la pellicola sembra parente di quel film), stessa ambientazione digitale colorata e new age e stesso rapporto con la realtà.

Se la forza di Peter Jackson torna ad esplodere in alcune sequenze isolate come quella della sorella nella casa dell'assassino o un'altra fantastica in cui pur tenendolo costantemente sullo sfondo riesce a concentrare l'attenzione di tutto il pubblico verso un personaggio mai visto fino a quel momento, o ancora quando sperimenta punti di inquadratura e visuali impossibili con la normale attrezzatura utilizzando una microcamera comprata in una televendita televisiva (sic!), il resto del lungo film (2 ore e passa) è sostanzialmente monocorde.
Solo nel finale, quando la voce fuoricampo della protagonista tira le fila di quel che è successo spiegando il senso del titolo "amabili resti" si intuisce cosa poteva (e forse doveva) essere il film e che non è stato.

Tuesday, March 18, 2008

Un Bacio Romantico (My Blueberry Nights, 2007)di Wong Kar Wai

POSTATO SU
Tocca dire subito due cose: Wong Kar Wai nel campo "metropoli notturne e disperate con luci al neon" non ha rivali e dal primo film fatto fuori da Hong Kong non ci si può che aspettare un bignami di quello che sa fare.
Precisate queste cose e il fatto che alla fotografia non c'è il compagno di mille battaglie e mille successi Christopher Doyle (ma al montaggio invece il fido William Chang c'è), c'è da dire che Un Bacio Romantico è decisamente molto migliore di 2046.

Si tratta di cinema in puro stile Kar Wai: anime sole e perdute nelle città moderne, girato prevalentemente di notte e incentrato non sulle storie d'amore in sè ma sul loro prima e il loro dopo, personaggi che raccolgono i cocci di se stessi e vivono di speranze. Non è ripetizione ma reiterazione.

Come sempre nei suoi exploit migliori Wong Kar Wai riesce a prende dalle atmosfere pure del noir solo ciò che gli serve, tralasciando tutti gli ambiti malavitosi e più violenti e isolando il romanticismo della modernità. E tutto questo lo fa con le immagini e non tanto con le parole.
Nessuno come lui ha trovato l'estetica dell'empatia moderna e nessuno come lui ha individuato e fissato le aree di resistenza del vivere romanticamente nel mondo moderno. E in Un Bacio Romantico, benchè non ci sia la forza innovativa e poetica di Angeli Perduti o Hong Kong Express, ci sono comunque buonissime idee come quella dei personaggi visti di giorno e di notte e i loro rapporti che si ribaltano.

Certo il segmento incentrato sul personaggio di Natalie Portman è abbastanza lento e ammazza un po' un ritmo che, come sempre, viaggia pericolosamente sul crinale della lentezza. Ma Wong Kar Wai riesce ancora a sfornare trovate di messa in scena davvero uniche, idee che sono l'unione di punti di osservazione poco ortodossi, viraggi su colori sparati, messa a fuoco parziale e una prospettiva diversa sulle solite cose.
Dai barattoli di ananas di Hong Kong Express alle torte di Un Bacio Romantico non ci passa molto, l'umanizzazione degli oggetti e delle cose è sempre la metafora della quotidiana piccola sofferenza di personaggi che sembrano costantemente soli e bisognosi d'affetto. Ed è sempre bellissimo.

Un'ultima nota per il titolo italiano. Ho già espresso in passato la mia posizione ambigua e non decisa sulla storia degli adattamenti e della malatitolazione ma in questo caso mi pronuncio fortemente contro.
Il titolo originale ha una precisa economia nella trama e visto a posteriori è fenomenale per come aggiunge valore ad alcuni elementi (cioè le torte di mirtilli) e cambia punto di vista sulla storia. Quello italiano allo stesso modo sottolinea un altro elemento importante del film (un bacio che avviene ad un certo punto) ma che è bello proprio perchè abilmente (ed è uno degli espedienti migliori) Wong Kar Wai lascia il dubbio sul fatto che sia realmente accaduto (e comunque ha un illustre precedente).
In due parole: il titolo italiano rovina quello originale arricchisce.