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Thursday, April 15, 2010

Fantastic Mr. Fox (id., 2009)di Wes Anderson

POSTATO SU
Di tutti i film di Wes Anderson questo è il primo a non essere interamente suo. Fantastic Mr. Fox è un racconto di Roald Dahl a cui Wes fa il "trattamento Anderson": piega tutta la materia alle sue esigenze introducendo un pre, un post e allargando la parte centrale con personaggi e situazioni puramente adersoniani, riducendo i figli ad uno solo e introducendo un cugino talentuoso. A fronte di tutto questo però ci sono anche elementi che gli sono sempre stati estranei come i villain e lo showdown finale che vengono dal racconto. E questo solo a livello di trama.

Come sempre nei film di Anderson infatti sono i dettagli che nella loro interezza disegnano un'idea di mondo in maniera più marcata di quanto possano fare psicologie e fatti. In questo caso ci sono oggetti e mobili dalla vita e dalla residenza di Roald Dahl più il design e i vestiti di Anderson. Ma i colori, gli ambienti, la fotografia (il solito stile da strip comica molto schiacciato e a prospettiva fissa) e le musiche fanno ancora una volta la differenza rendendo anche empatici personaggi già interessanti. Il mondo di Mr. Fox, costantemente colorato come al tramonto, fatto di colori caldi e di una natura razionalizzata all'inglese, già esteticamente ha le caratteristiche della gabbia dorata e spinge all'animalità.

Fedele alla scuola truffautiana del film che si fa sul set, che "accade" nel momento in cui si gira nutrendosi del caso, della partecipazione di attori e troupe e dell'ambiente in cui ci si trova Anderson ha prima girato tutte le scene con gli attori nei luoghi veri (esterni in esterno, interni in interno, scene a tavola stando seduti a tavola e via dicendo) per registrare tutto il comparto audio avendo degli attori che recitassero in una scena e non davanti ad uno schermo.
Il risultato è che i suoni influenzano l'immagine, che si sentono gli aerei che passano e gli animatori sono costretti ad inserirli nell'immagine riuscendo a portare il suo stile realizzativo nella complessa macchina che è l'animazione.

Ma anche andando al di là di tutto questo (cioè delle scelte visive, di un processo produttivo inusuale e arricchito, della personalità del regista e via dicendo), Fantastic Mr. Fox è forse l'opera più compiuta di Wes Anderson quella in cui meglio emergono le sue caratteristiche e i suoi "tipi", quella in cui il padre della situazione è veramente in bilico tra cattiveria, freddezza e sentimentalismo, dotato di una morale ambigua e di sentimenti poco decifrabili, in cui la famiglia è un nucleo complesso e stratificato e in cui la dialettica del personaggio principale tra istinto e ragione si manifesta con una forza e un'irrisolutezza tale da coinvolgere e appassionare chiunque.
In modo che alla fine, l'incontro con l'animale selvaggio (grandissimo topos del cinema americano mai toccato da Anderson in precedenza) funziona moltissimo anche se è rivoltato dal fatto che ad incontrare l'animale selvatico questa volta è un altro animale, solo più civile.

Wednesday, April 23, 2008

Il Treno Per Il Darjeeling (The Darjeeling Limited, 2007)di Wes Anderson

POSTATO SU

Uno dei tratti fondamentali di parte del cinema d'azione asiatico moderno (almeno per un occhio occidentale) è l'esplosione di violenza, il fatto cioè che spesso i momenti efferati e violenti arrivino senza alcun preavviso tipico solitamente dato da elementi come musica, montaggio, dialoghi, sguardi o qualsiasi altra strategia cinematografica. Allo stesso modo in Wes Anderson esplodono le emozioni, il suo stile di racconto cinico e un po' distaccato è poi costellato di continue microesplosioni di emotività, una frase, un gesto o un momento che rivelano un dramma o un sentimento quando meno lo si aspetta e senza che in nessun modo sia annunciato.

E' una delle caratteristiche più importanti di questo finto indipendente, che gira con un rigore raro (i suoi caratteristici movimenti di camera ortogonali qui arrivano all'esasperazione), prediligendo il piano sequenza e gli ambienti stretti (la casa dei Tenebaum, la nave di Zissou, ino all'estremo e angusto spazio della cabina del treno nel quale si trova incredibilmente a suo agio), sapendo comporre l'inquadratura come pochi oggi e raccontando storie di formazione come se ogni storia possibile fosse di formazione.

Inutile dire del continuo raccontare sempre la stessa storia di famiglia ovattate e allo sfascio, più interessante è forse notare come specialmente quest'ultimo suo film, Il Treno per il Darjeeling renda spesso esplicite molte metafore, rendendole così operative e facendole diventare uno strumento in più.
In un punto della storia i tre fratelli protagonisti tentano di salvare tre bambini, uno non ce la farà. Non era ufficiale ma metafora voleva che ognuno avesse un bambino da salvare, quasi si fosse preso carico unicamente di quella vita come obiettivo da raggiungere per la propria salvezza. Ma in maniera palese Adrien Brody dichiarerà: "Il mio non ce l'ha fatta" tenendo in braccio il corpo senza vita.
Solitamente una cosa simile è condannabile perchè non serve dirlo ad alta voce, è più efficace se lo spettatore fa l'associazione da solo. In questo caso tuttavia il fatto che lui lo dica ad alta voce non è mancanza di fiducia nello spettatore ma rende la questione esplicita e utilizzabile più avanti: il protagonista stesso aveva fatto l'associazione, sapeva che era il suo bambino e lo dice agli altri che lui il suo non l'ha salvato i quali ora sanno che lui lo pensa, è un punto di partenza e non uno di arrivo. Un segno di come Anderson non rispetti (e con buone ragioni) molte regole auree del cinema.

Questo è un solo esempio della raffinatezza stilistica del cinema di Wes Anderson (altra è la capacità di associare ad ogni personaggio anche marginale una storia (i lividi sul corpo di Natalie Portman) o di incastrare più racconti in quello principale) che nonostante cerchi in tutti i modi una personalizzazione portata all'estremo (come sempre i colori sono fondamentali oltre che coerenti lungo tutta la pellicola, al pari di una lunga serie di oggetti che ricorrono) sembra poi non riuscire ad uscire dal seminato. E lo dico con grande dispiacere.
Quello di Wes Anderson è un cinema tra i più sorprendenti e originali degli ultimi anni, l'unico che sembra essere partito dalle istanze indipendenti americane (ma già ne era lontano con Rushmore) per andare da altre parti senza rimanervi imbrigliato, l'unico che guardi davvero al passato (peraltro europeo) senza citazionismo (per questo mi hanno infastidito molto gli zoom anni '70), che sappia fare tesoro del linguaggio dei videoclip (e non per il montaggio una volta tanto!) e l'unico in grado di raccontare trame avvincenti riuscendo a trovare una strada personale per la messa in scena di personaggi umani.

Eppure, se non in Rushmore, la sua poetica dei bambini viziati cresciuti e fieri di esserlo che nonostante la bambagia non riescono ad avere i rapporti che vorrebbero, che falliscono in tutto nonostante siano pieni di potenzialità sembra non riuscire a compiere l'ultimo miglio e rimanere sempre ingabbiata in un'ottima messa in scena ma nulla più.

E comunque quando alla fine ci si trova sui monti dell'India, in un convento, con le suore, gli autoctoni e gli interni bianchi se il pensiero non vola SUBITO a Narciso Nero mi dispiace per voi.

Sunday, November 25, 2007

Rushmore (id., 1998)di Wes Anderson

Il secondo lungometraggio di Wes Anderson è un poema tenero e infantile sul contrasto delle età e (chiaramente) sulla paternità (sia essa effettiva, assente o mancata).
In Rushmore c'è tutto il cinema che seguirà di Anderson, sia tematicamente (I Tenebaum) che formalmente (Steve Zissou), con un gusto particolare per la descrizione della devastante normalità di figure atipiche.
Questa volta il protagonista è un ragazzo talentuoso, pieno di interessi e volontà innamorato della propria scuola e delle possibilità che gli dà. Presidente e fondatore di mille organizzazioni nonchè drammaturgo e commediografo, la sua insaziabile sete di crescita (fisica e culturale) si scontra unicamente contro l'impossibilità di avere una storia d'amore con una donna più adulta.
Outsider di lusso, nerd pieno di possibilità e di volontà il protagonista è come spesso si vede in Anderson genialmente fuori dal mondo e grande innovatore.

Eppure mi sembra sempre che nei film di Anderson le cose più interessanti siano quelle meno particolari. Di tutte le mille piccole chicche, stranezze e originalità di cui riempie i suoi film alla fine ciò che mi rimane sempre impresso (e delle volte con una forza non indifferente) sono le cose più consuete. I sipari che si aprono e si chiudono, lo scorrere delle stagioni, gli sguardi pieni d'amore, quelli pieni di delusione, i picchi e le rinascite.
A fronte di forme che cercano disperatamente di discostarsi dal già visto e dal già narrato ad un livello di superficie (perchè poi sotto i metodi di narrazione sono molto più canonici di quel che sembri) c'è poi una narrazione di meccanismi veramente basilari come l'affetto paterno, la volontà di crescere o di non crescere (se si è cresciuti) e la ricerca disperata di una felicità che ormai è già perduta.