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Tuesday, April 5, 2011

The Next Three Days (id., 2011)di Paul Haggis

POSTATO SU
Nonostante sia un remake, e fino ad un certo punto molto fedele all'originale Pour Elle, The Next Three Days ha una partenza dalla scrittura sopraffina. E non lo si dice solamente perchè alla regia (e alla sceneggiatura ovviamente) c'è Paul Haggis, emerso per le sue doti di scrittore e solo recentemente passato anche alla regia, quanto perchè anche per gli standard dello sceneggiatore di Million Dollar Baby e Casino Royale, il percorso indiziario prima e di lenta costruzione di un piano poi, ha del magistrale.

Capace di stare abilmente con il piede in due staffe, tra il realismo di una lenta discesa personale in un piano paradossale ma lucidamente elaborato e la classica narrazione iperbolica all'americana di eroi solitari che lottano contro il destino, Haggis sembra padroneggiare anche registicamente uno dei film più interessanti dell'annata. Almeno fino ad un certo punto.
L'ultima mezz'ora e più, quella d'azione in cui si tirano le fila di quanto è stato costruito lungo il film passando dall'elaborazione del piano alla sua attuazione ( quella che si differenzia di più dall'originale), riesce sistematicamente a distruggere tutta l'ambiguità e l'interesse che la pellicola aveva suscitato. Una cosa che purtroppo capita spesso quando Haggis oltre a scrivere siede anche dietro la macchina da presa.

La storia del marito, innocuo professore, che si ritrova la moglie accusata e incarcerata per omicidio e che crede ciecamente alla sua innocenza, tanto da pianificare per anni la sua evasione, poteva essere (e fino ad un certo punto è) un film sul disperato progetto di un folle che vede una realtà che nessun altro vede. Invece Haggis nell'ultima parte opera una rilettura degli stimoli forniti dal resto del film, colpi di scena inclusi, riportando tutto nell'alveo del politicamente corretto, della giustizia e di una bontà manichea.
Dopo aver posto domande lungo il film all'improvviso nel finale si mette a dare tutte le risposte. TUTTE. E sono tutte deludenti.

Thursday, November 29, 2007

Nella Valle Di Elah (In the Valley Of Elah, 2007)di Paul Haggis


Per Nella Vale Di Elah occorre fare un discorso speculare a quello di The Kingdom, benchè i due film non abbiano molti punti in comune se non che entrambi fanno riferimento allo sforzo bellico statunitense in Medio Oriente.
Dal discorso fatto per The Kingdom infatti era rimasto fuori il tema del "reducismo" che è un'altra matrice importantissima per il cinema di genere bellico americano dal Vietnam in poi.
Se dunque The Kingdom è al momento la punta del nuovo modo di girare film di guerra sul conflitto in corso, Nella Vale Di Elah ripropone (in chiave non nuova nè innovativa) il tema del reducismo aggiornato a questa guerra.
Certo i film sui reduci non si sono evoluti come i corrispettivi film di guerra se non per il cambio di paesaggio e mezzi (deserti al posto della giungla negli incubi, e grande uso di tecnologie).

Così Nella Vale Di Elah batte un'altra strada per distinguersi, non quella del cambio di linguaggio ma quella dello spiazzamento dello spettatore.
Paul Haggis è indubbiamente forte, un grande sceneggiatore ma non un altrettanto grande regista, così l'idea di fondo del film non è niente male (l'indagine di un padre su cosa sia accaduto al figlio al ritorno dalla guerra che piano piano lascia emergere visioni di guerra e storie di reduci), ma non si può dire lo stesso poi della realizzazione.
Il film punta molto su Tommy Lee Jones che recita per sottrazione (va tantissimo in questo periodo, chissà se reggerà poi la prova del tempo...) e cerca di non parlare apertamente dei reduci ma di lasciare che siano uno sfondo costante.
Alcuni personaggi sono azzeccatissimi come quello di Charlize Theron, altri più banalotti (come quello di Susan Sarandon), ma nel complesso il film ha il suo perchè. La forza dello script alla fine vince e il tema e le domande che si pone Haggis (cosa è più opportuno fare nelle situazioni vissute dal figlio di Tommy Lee Jones? Cosa è veramente patriottico? E la sempre verde: Stiamo mandando i nostri figli al macello?) sono convincenti e ben esposte. Certo poi si fa una gran fatica a sopportare ancora quelle bandiere che sventolano...

Una cosa però mi lascia perplesso e nessuno ne parla: perchè solo gli americani hanno il problema del reducismo?
In Europa abbiamo fatto tantissime guerre e nessuno ne ha mai parlato. Nazioni come Francia e Inghilterra sono andate in giro per il mondo a fare guerre e guerriglie, anche urbane, contro civili e non si è mai parlato di malattie da ritorno. Addirittura nel conflitto in corso gli inglesi hanno avuto una partecipazione simile e paragonabile a quella americana con tanto di scandali per maltrattamenti ai prigionieri ecc. ecc. Eppure nemmeno un problema da reduce...