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Wednesday, July 28, 2010

L'apprendista stregone (The Sorcerer's Apprentice, 2010)di John Turtletaub

Se il management della Disney si fosse riunito in una stanza illuminata male a candele di un castello sulla cima dei Carpazi per evocare le forza oscure con un antico rito misterico al fine di possedere un corpo umano e fargli fare tutto ciò che vogliono come lo vogliono, una specie di zombie che risponde ai comandi dall'alto senza pensare, e l'avessero utilizzato per fare un film il risultato sarebbe L'Apprendista Stregone.
Un vero giornalista andrebbe a verificare se Jon Turtletaub esiste davvero o se è una di quelle identità fittizie da internet, un Luther Blisset, un nome dietro al quale non c'è nulla, un fantoccio per nascondere la macchinazione dei vertici dell'azienda. Un vero giornalista...

Cose che non ci sono in L'Apprendista Stregone: anima, originalità, pensiero divergente, voglia di fare una cosa che si distingua, recitazione, credibilità, plausibilità.
Cose che ci sono in L'Apprendista Stregone: parrucchino di Nicolas Cage, product placement, valori disneiani, conservatorismo, mitologia interna (un po' da 4 soldi), spettacolarità alla buona, ralenti+velocizzazione, Monica Bellucci, confusione, scena delle scope con score che guarda alla composizione di Dukas.
Quasi lo immagino John Turtletaub, zombie senza volontà, agito da un'entità esterna che con lo sguardo fisso avanti e la voce senza inflessione dice "Ora devo girare sequenza giovane che salva propria innamorata. Devo rifare scena Topolino scope. Devo rifare scena Topolino scope".

Dunque L'apprendista Stregone è un film che vale la pena vedere? Non credo proprio. Dunque è un film che piacerà ai più piccini? Probabile è fatto per ghermirli e nel buio (della sala) incatenarli con la dinamica "mi scopro vero eroe e ho anche la mia bella da salvare". Dunque è un film che rimarrà e avrà una qualche influenza sul resto della produzione di genere? Non credo proprio. Dunque c'è una cosa che si salva? Si, due: Jay Baruchel (che a me, me piace) e l'idea di un tipo di magia che si mescola alla fisica e quindi un passo in avanti (o indietro, poi ci penso) nel rapporto magia/tecnologia che domina le produzioni fantastiche moderne.

Monday, May 31, 2010

Prince Of Persia: Le sabbie del tempo (Prince Of Persia: Sands Of Time, 2010)di Mike Newell

Le cose interessanti di Prince Of Persia dovevano essere due: il tentativo di dare vita ad una nuova serie d'avventura dopo il successo inaspettato di I Pirati Dei Caraibi e il rapporto con il videogioco originale a livello di messa in scena. Mi aspettavo molto dal primo elemento e molto poco dal secondo ma a sorpresa è stato il contrario.

Come film d'avventura infatti Prince Of Persia è una grande delusione. Mike Newell fa un buco nell'acqua non solo a livello pratico ma anche a livello teorico. Il montaggio è il peggiore mai visto, a lavorarci sono in tre (di cui uno il montatore di fiducia di Gilliam e un altro quello di Spielberg) eppure il film è un tripudio di stacchi errati, personaggi in posizioni diverse, scene d'azione incomprensibili, accostamenti forzati e transizioni tra sequenze che sembrano lo showreel di film diversi. Prince Of Persia, a fronte di una trama banale come si conviene, è dunque anche raccontato malissimo.

E non va di certo meglio se si considera l'idea di cinema avventuroso che è sottesa! Girato per larga parte in interni con una luce pessima che mette in risalto in ogni momento come tutto sia finto e basato su continui aiuti in computer grafica per le sequenze d'azione, il film suona fasullo ad ogni momento e dimentica che l'essenza del genere avventuroso è la prestazione, ovvero il movimento reale di corpi reali in ambienti reali (o verosimilmente tali), il fatto che quelle azioni vengano (in larga parte) realizzate sul serio e che lo scenario sia ampiamente credibile. Creare esotismo con un'illuminazione da teatro di posa è impensabile. Vedere alla voce Il Vento e Il Leone.
Non a caso l'unico momento in cui il tutto sembra decollare è quando i protagonisti affrontano il deserto il quale, vero o falso che sia, è altamente plausibile, vasto e, da solo, foriero di promesse avventurose. Finalmente.

Più interessante invece il legame con il mondo videoludico. Sebbene non ci sia quasi nulla dei videogiochi della saga omonima (tranne alcuni dettagli verso la fine), la produzione ha optato per la scelta vincente di ricalcare moltissime idee di regia e soluzioni visive dei videogiochi moderni, in particolare Assassin's Creed, dal quale senza vergogna il film riprende i movimenti del protagonista e alcune immagini vincenti (clamoroso il cappuccio per mischiarsi alla folla).
Il videogioco ha un modo tutto particolare di guardare alla realtà che rappresenta, lontano dall'animazione e parallelo al cinema dal vero. Che i film comincino ad incorporare quelle idee tentando di renderle adatte al medium è una tendenza che dà vita ad una ricchezza espositiva che colpisce anche in un film povero come Prince Of Persia.

Tuesday, February 2, 2010

An Education (id., 2009)di Lone Scherfig

POSTATO SU
Noto più che altro per essere il primo adattamento che Nick Hornby fa per il cinema da un romanzo non suo (il che significa la prima vera sceneggiatura) An Education è in realtà l'opera calibrata di una pentita del Dogma cioè Lone Scherfig (era suo Italiano per principianti). L'ex seguace vontrieriana non solo gira un film molto "finto" rispetto ai canoni dogmatici (del resto fare il contrario non avrebbe avuto senso e sarebbe stata un'operazione fuori dal tempo) ma sembra totalmente rinnegare ogni declinazione moderna di quel modo di vedere il cinema. Nessuno più fa film Dogma ma in molti hanno conservato qualcosa da quell'esperienza, qualcosa che contamina il cinema moderno spesso in maniera positiva. Lone Scherfig ha scelto di non farlo.

Il racconto infatti è finto che più finto non si può e proprio per questo molto valevole. Il modo in cui si viene introdotti nel mondo di Jenny, non semplicemente un'intellettuale in fieri in una realtà di aspirazioni borghesi spesso ignoranti e dogmatiche da cui attende di essere liberata come sembra all'inizio, è degno della miglior causa. Cauto, misurato e straordinariamente efficace nel comunicare la complessità dell'educazione alle cose della vita di una ragazza che pensa a tutt'altro, lo script di Hornby è tutto concentrato in come la protagonista venga travolta da quella dimensione passionale della cultura che tutti le presentano come opposta all'approfondimento scolastico e che lei invece vede come complementare.

E alla fine tutto An Education si interroga su questo. Sul parallelo tra educazione canonica (libri, nozioni, latino ecc. ecc.) ed educazione all'attualizzazione di quelle forme di cultura (acquisto di quadri, bei ristoranti, musica raffinata, film francesi degli anni '60 e via dicendo), cioè il passaggio tra l'apertura mentale scolastica e quello a cui quell'apertura dovrebbe servire. "A cosa serve tutto questo?" chiede Jenny alla preside della scuola che non condivide le sue scelte. Un tema su cui chiunque sia stato travolto dal turbine della produzione culturale ad un certo punto si è interrogato.

Una volta tanto quindi la forza del film sta davvero nella sceneggiatura e in quel modo delicato con cui Nick Hornby ci conduce per mano davanti ad un dubbio e chiude il film in maniera netta e decisa (facendo addirittura intuire il futuro della storia), lasciando comunque lo spettatore nell'impossibilità di attribuire con certezza le colpe o i meriti dei molti eventi convulsi e quasi tragici della trama.