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Monday, May 31, 2010

Prince Of Persia: Le sabbie del tempo (Prince Of Persia: Sands Of Time, 2010)di Mike Newell

Le cose interessanti di Prince Of Persia dovevano essere due: il tentativo di dare vita ad una nuova serie d'avventura dopo il successo inaspettato di I Pirati Dei Caraibi e il rapporto con il videogioco originale a livello di messa in scena. Mi aspettavo molto dal primo elemento e molto poco dal secondo ma a sorpresa è stato il contrario.

Come film d'avventura infatti Prince Of Persia è una grande delusione. Mike Newell fa un buco nell'acqua non solo a livello pratico ma anche a livello teorico. Il montaggio è il peggiore mai visto, a lavorarci sono in tre (di cui uno il montatore di fiducia di Gilliam e un altro quello di Spielberg) eppure il film è un tripudio di stacchi errati, personaggi in posizioni diverse, scene d'azione incomprensibili, accostamenti forzati e transizioni tra sequenze che sembrano lo showreel di film diversi. Prince Of Persia, a fronte di una trama banale come si conviene, è dunque anche raccontato malissimo.

E non va di certo meglio se si considera l'idea di cinema avventuroso che è sottesa! Girato per larga parte in interni con una luce pessima che mette in risalto in ogni momento come tutto sia finto e basato su continui aiuti in computer grafica per le sequenze d'azione, il film suona fasullo ad ogni momento e dimentica che l'essenza del genere avventuroso è la prestazione, ovvero il movimento reale di corpi reali in ambienti reali (o verosimilmente tali), il fatto che quelle azioni vengano (in larga parte) realizzate sul serio e che lo scenario sia ampiamente credibile. Creare esotismo con un'illuminazione da teatro di posa è impensabile. Vedere alla voce Il Vento e Il Leone.
Non a caso l'unico momento in cui il tutto sembra decollare è quando i protagonisti affrontano il deserto il quale, vero o falso che sia, è altamente plausibile, vasto e, da solo, foriero di promesse avventurose. Finalmente.

Più interessante invece il legame con il mondo videoludico. Sebbene non ci sia quasi nulla dei videogiochi della saga omonima (tranne alcuni dettagli verso la fine), la produzione ha optato per la scelta vincente di ricalcare moltissime idee di regia e soluzioni visive dei videogiochi moderni, in particolare Assassin's Creed, dal quale senza vergogna il film riprende i movimenti del protagonista e alcune immagini vincenti (clamoroso il cappuccio per mischiarsi alla folla).
Il videogioco ha un modo tutto particolare di guardare alla realtà che rappresenta, lontano dall'animazione e parallelo al cinema dal vero. Che i film comincino ad incorporare quelle idee tentando di renderle adatte al medium è una tendenza che dà vita ad una ricchezza espositiva che colpisce anche in un film povero come Prince Of Persia.

Monday, February 22, 2010

Shutter Island (id., 2010)di Martin Scorsese

POSTATO SU
Quando il film inizia su una nave con Leonardo DiCaprio e Mark Ruffalo che a prua fumano sigarette sembra di vedere Ho camminato con uno zombie di Jacques Tourneur, non solo per ciò che accade ma per il tipo di sguardo sulla vicenda. L'aria che si respira è quel misto di perdizione brumosa e disperazione d'altri tempi che al cinema non si respira più se non nei film dei fratelli Coen. Invece Scorsese con un ambiente, dei costumi e un paio di espressioni degli attori in un pugno di minuti recupera tutto quel mondo e va anche oltre, lanciando delle suggestioni da Isola del dr. Moreau del dopoguerra.
Solo per questo attacco e per il conseguente senso di claustrofobica ossessione che è annunciato e implicitamente promesso dalle scene seguenti (i primi e teoricamente innocenti momenti sull'isola), Shutter Island non può essere liquidato come un qualsiasi altro film. Non è perchè sia di Scorsese o perchè si tratti di una produzione ricca di nomi interessanti (l'evoluzione della collaborazione con Robert Richardson e lo studio sugli effetti della luce tocca nuove vette), ma perchè lancia stimoli come nessun altro.

Questa premessa che suona come una excusatio non petita tuttavia contiene in sè anche un'altra valutazione, più negativa, su come poi il film si dipani. Nonostante infatti un approccio come al solito dinamico, inventivo e potente al genere (thriller psicologico con venature gotiche) Shutter Island più avanza più diventa banale e prevedibile, solo la ferma volontà dello spettatore di credere nella forza di Martin Scorsese può mantenere il dubbio su quel che stia succedendo, chiunque non abbia la medesima volontà di credere nel regista avrà capito tutto dopo poco.
Ma lungi da essere la prevedibilità il metro su cui godere un film è la banalità dell'esito a deludere. Che Scorsese giri un film dove non solo la storia va a parare dove vanno a parare tutte le altre ma che anche le idee che vi girano intorno alla fine traccino una morale nota è la vera delusione.

A parziale redenzione del regista va notato però come nell'ultimissima sequenza che segue la risoluzione dei molti misteri del film ci sia un fenomenale (quello si!) colpo di coda che riporta tutto ciò che è successo nell'universo personale del regista. Se non altro questo primo vero film di genere di Scorsese è una lettura personalissima e parziale di una storia altrui. Scorsese, come solo i migliori sanno fare, non fa un racconto ma mostra le cose che lo hanno colpito di quel racconto, vedere Shutter Island non è leggere il libro da cui è stato tratto ma sentire il regista che ci racconta come si è sentito leggendolo e perchè.

Monday, April 27, 2009

Lezioni D'Amore (Elegy, 2009)di Isabel Coixet

POSTATO SU
Questo film è un polpettone. Ecco la definizione corretta: polpettone.
Si tratta di un'opera tratta da un racconto di Philip Roth che scandaglia i confini del sentimento amoroso e dell'attrazione sessuale. Ma è un polpettone perchè cerca l'intimismo a tutti i costi senza che ad esso corrisponda azione. Anche Two Lovers è un film intimista ma a fronte di molto "movimento interiore" ai personaggi ce n'è anche tanto "esteriore" a giustificarlo.

Come classico dei polpettoni tutto risiede su fotografia, scene e attori. E da quel punto di vista il film è impeccabile: Kingsley e Cruz si impegnano come possono, Jean-Claude Larrieu fotografa con grande raffinatezza e le scenografie anche sono curatissime. Tutto confluisce verso il racconto di un unico grande tema, il rigore dei sentimenti contro la furia della carne. Ma come si è detto senza che succeda nulla di veramente sorprendente (se si esclude il più classico dei colpi di scena prevedibili finali).

Tutto l’impianto metaforico è talmente metodico, denso e oppressivo da schiacciare il film facendolo suonare in ogni momento inevitabilmente fasullo. Ed è quasi pornografico nel voler applicare simbologie e riferimenti alti quasi senza considerare che già la professione di molti personaggi coinvolti (letterati, professori, poeti) ha un significato fortissimo.

A questo punto alcuni si chiederanno: "Ma come? I pastori kazaki di Tulpan si e il racconto di Philip Roth con Penelope Cruz no??". Esatto! Tulpan si e Penelope Cruz no.

Tuesday, December 11, 2007

La Bussola D'Oro (The Golden Compass, 2007)di Chris Weitz


Quando si dice il ritorno del fantasy...
La Bussola D'Oro, primo capitolo di una trilogia di libri risalente al 1996, viene messo nelle mani di Chris Weitz in una produzione ad alto budget cercando di essere qualcosa di ibrido.
La prima che si nota è come Il Signore Degli Anelli (il film) rimanga un inevitabile punto di riferimento per tutti nel modo in cui mettere in scena i topoi narrativi del fantasy. Il prologo (sempre importante e denso di fatti nei fantasy) affidato alla voce over e mostrato con il tipico andamento da Peter Jackson ne è esempio perfetto.
Ma non è solo al Signore Degli Anelli che attinge Weitz, infatti come il film anche il libro ha punti di connessione con i principali romanzi fantasy portati in film negli ultimi anni.
Come la saga di Harry Potter anche La Bussola D'Oro si svolge in un mondo moderno ma parallelo a quello nostro dove le regole sono leggermente diverse e si fa un uso regolare di magia (solitamente per sostituire quello che da noi fa la tecnologia). Come in Il Signore Degli Anelli c'è un oggetto magico (degno delle fiabe di Propp) al centro di tutto e un predestinato a poterlo gestire. Come in Le Cronache Di Narnia c'è un animismo generale che integra uomini e bestie, eliminando dai giochi animali fantastici e facendo tutto con le bestie che conosciamo. Infine spesso ci sono espedienti presi da Dune nel modo in cui viene trattato l'elemento magico, ovvero la Polvere, simile per timore reverenziale, mistero e aura di magia a la Spezia.

La caratteristica più evidente autonoma e particolare di La Bussola D'Oro ad ogni modo è il concetto di daimon, effettivamente qualcosa di originale ed efficace. Si tratta della materializzazione della propria anima, che invece che essere nel corpo (come nel nostro mondo), è accanto ad ognuno sotto forma di animale. Un animale per ognuno diverso con il quale interagire parlare e con il quale si è in contatto totale, cioè se strangolano l'animale ne risente il padrone ecc. ecc.
Chiaramente Daniel Craig che è fico e dal portamento nobile e duro ha come daimon una tigra bianca. Giusto per rendere l'idea.
Il daimon è fonte di mille espedienti narrativi ed empatici, un elemento veramente distintivo per la saga che soprattutto grazie all'approfondimento di questo rapporto viaggia sulle proprie gambe.

Il film scorre bene e nonostante sia raccontato alle volte con dei semplicismi e delle cadute di stile pazzesche, in linea di massima riesce a presentare una narrazione svelta e agile che sebbene non sia nulla di originale comunque appassiona e non risulta indigesto.

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