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Wednesday, April 6, 2011

Mia Moglie Per Finta (Just go with it, 2011)di Dennis Dugan

POSTATO SU
Da incendiario a pompiere. La prima parte della carriera di Adam Sandler era all'insegna della dissacrazione, dell'umorismo demenziale e scorretto e di un attitudine tesa a provocare fastidio, mettere in imbarazzo e irritare. La seconda parte sembra invece tutta improntata alla normalizzazione e al rimpianto dei bei vecchi tempi di una volta in contrapposizione ai giovani d'oggi. Cosa che sì, dà veramente fastidio.
Dai film comici alle commedie, fino alle commedie romantiche (passando per qualche chicca d'autore), Sandler è rientrato nei ranghi e ora è uno come tanti.

Normale quindi che si ritrovi al fianco di Jennifer Aniston in un film per famiglie e/o per coppie che non riserva nessuna sorpresa e anzi, sembra fare di tutto per evitare un guizzo o una lettura particolare.
Remake di Fiore di Cactus di Saks, Mia moglie per finta propone il consueto intreccio della coppia simulata che poi non può fare a meno di scoprire di avere davvero qualcosa in comune e convolare a giuste nozze. Di mezzo (per giunta!) i figli.

E non è tanto il genere (nobilissimo) o gli intenti (commerciali come quelli di qualsiasi altro film) quanto lo spirito facilone e la presunzione che un simile cambiamento, da incendiario a pompiere, sia accettabile senza nessuna smorfia, che il pubblico possa e debba prendere per buona la redenzione di Sandler e magari esserne contento. Per giunta in un film senza idee, senza romanticismo e senza una scrittura a livello (solitamente il punto di forza di questo genere).
Che poi il meccanismo piaccia e il film abbia successo è un altro paio di maniche, ci sono meccanismi e automatismi che vanno oltre la comprensione umana e fanno sì che una commedia come questa sia più gradita di una sofisticata sul serio come Amore e altri rimedi o Amore a Mille Miglia o ancora 500 giorni insieme. Ma tutto ciò non cambia la sostanza dei fatti.

Thursday, September 30, 2010

Un weekend da bamboccioni (Grown Ups, 2010)di Dennis Dugan

POSTATO SU
Sull'uso e l'accezione che viene dato al termine "bamboccioni" nella titolazione di questo film ci sarebbe da scrivere un saggio di 500 pagine. Invece per gentilezza nei confronti del lettore non verrà spesa nemmeno una parola.
Grown Ups è l'ennesima collaborazione tra Adam Sandler (anche sceneggiatore) e Dennis Dugan (Vi dichiaro marito e marito, Zohan ma soprattutto il folgorante Happy Gilmore), coppia dai risultati talmente altalenanti che fa venire il sospetto di azzeccare il colpo solo per caso.

Se infatti Happy Gilmore era un esordio col botto, dinamico, esilarante e violento, Vi dichiaro marito e marito un'insopportabile pastrocchio maschilista e Zohan una satira divertente, estrema e audace nel suo (autentico) politicamente scorretto, Grown Ups è un film per famiglie nell'accezione più dispregiativa del termine. Un film che mette in scena famiglie e dinamiche da famiglia ad uso e consumo di un pubblico identico a chi viene rappresentato, che ne fruisce più in tv (in famglia) che al cinema. Ancora peggio il film dà libero sfogo alla piega peggiore dello stile-Sandler ovvero il passatismo "americana", cioè il ricordo e la nostalgia dei veri valori tradizionalmente bianchi e east coast.

Storia di un gruppo di amici affiatati che, una volta adulti, si incontrano nuovamente dopo anni di lontananza a causa della morte del loro coach di pallacanestro. Il funerale è l'occasione per loro e per le loro famiglie di trascorrere di nuovo del tempo insieme in una baita nel bosco, luogo in cui si confronteranno, risolveranno i loro problemi (causati dalla vita di città) e riscopriranno una dimensione panica a contatto con la natura e tutti quei pregi dell'american way of life apertamente contrapposti alla frenesia di questa vita moderna.
La scarsità di spunti comici (nonostante il profluvio di attori interessanti) è forse l'aspetto meno irritante di questa lunga parabola buonista autoincensatoria, dove addirittura in chiusura i belli, ricchi e ora anche felici protagonisti concedono ai brutti, cattivi e stupidi outsider di provincia il privilegio di una vittoria a pallacanestro (l'unica vittoria della loro vita lascia intuire il film), perdendo appositamente. Anche quella vittoria per gli outsider dunque è un regalo pietoso di chi ha tutto nei confronti di chi non ha niente e non una conquista personale.

Thursday, October 2, 2008

Zohan (You Don't Mess With the Zohan, 2008)di Dennis Dugan

POSTATO SU
A me Zohan ha fatto ridere. E questo è un fatto che preciso subito perchè c'è grande divisione sui film di Adam Sandler. Io dichiaro la mia appartenenza al gruppo di quelli che Un Tipo Imprevedibile l'hanno adorato e così anche Billy Madison ma poi il resto non gli ha strappato nemmeno una risata. Nemmeno una sola.

Ora Zohan a mio parere torna più o meno a quei livelli con una comicità di nuovo efficace tutta centrata sul conflitto israelopalestinese. Adam Sandler non va per il sottile nel prendere in giro la guerra infinita e questo è uno degli elementi che sicuramente contribuiscono alla risata che a tratti suona proibita e politicamente scorretta, quindi ancora più liberatoria. Ad ogni modo alla fine non manca qualche considerazione buonista/pacifista e un equilibrio tra le parti (e quando mai mancano...).

Il film si fregia della collaborazione alla sceneggiatura di Judd Apatow (e qui altro grande schieramento nel quale io mi pongo sulla stessa barricata di quello che trovo il nuovo deus ex machina della commedia americana) e soprattutto della presenza di un fantastico John Turturro che nonostante il suo status non disdegna per nulla di interpretare alcune tra le gag più cretine (e più divertenti) che si possano vedere.

Certo il film a livello cinematografico è pari a zero. A dirigere c'è Dennis Dugan già regista di Piccola Peste, Un Tipo Imprevedibile e recentemente di Io Vi Dichiaro Marito e Marito, una mano inesistente e una professionalità al minimo sindacale.
Si respira però in tante gag la volontà di battere percorsi nuovi (certo in molte altre no, come in tutte quelle dei rapporti sessuali con le vecchie) anche grazie al tema (la guerra israelopalestinese) che non è stato mai affrontato, almeno in Occidente, in maniera talmente diretta.

Se volete farvi un'idea qui c'è il trailer (che a me già aveva fatto ridere da solo).

Friday, May 2, 2008

Ubriaco D'Amore (Punch-Drunk Love, 2002)di Paul Thomas Anderson

Vari eventi mi hanno portato a rivedere Ubriaco D'Amore film che quando fu visto la prima volta mi lasciò interdetto, anche perchè nonostante fosse passato del tempo dalla visione di Magnolia, ancora non riuscivo ad avere un giudizio preciso e netto su quel film. Figuriamoci allora questo.

La visione del Petroliere prima e poi quella di Magnolia a pezzi ma più volte (Sky lo sta mandando a rotella a tutte le ore), e conseguente definitivo giudizio sul film come "pezzo da novanta", mi hanno allora convinto a recuperarlo.

Non lo ricordavo così intriso di musica e colori, ricordavo la storia ricercatamente strampalata e i personaggi che sembrano appesi. Ricordavo i blu, i neon e i controluce ma non l'isterismo generale.
Ubriaco D'Amore (il cui titolo originale già vale l'approvazione) è P.T. Anderson senza compromessi. E' il filo che unisce Boogie Nights, Magnolia e Il Petroliere, senza altri orpelli. E' tutti questi film senza le loro particolarità e quello che rimane è ciò che costituisce lo stile andersoniano (lontano finalmente da quelle sporcature "altmaniane" che rischiano di tarpare il suo stile).
E' un film tutto di forma e poco di contenuto (e questo si capisce subito) ma che forma! E' un film-manifesto a tutti gli effetti che parla decisamente più di cinema che di mondo.

I movimenti di macchina inesorabili e continui, la sottolineatura musicale fatta in chiave anticonvenzionale, utilizzando un tappeto che solo in certi punti riprende protagonismo mentre in alti torna tappeto, quasi inascoltabile ma presente.
Ubriaco D'Amore mette in scena la convinzione che possa esistere un cinema che parli non con dialoghi ma con i colori, non con l'azione ma con i movimenti di macchina, non con le espressioni degli attori ma con la loro posizione nell'inquadratura. E' un manifesto estremo di un cinema che attualizzato diventa Il Petroliere.

La martellante colonna sonora di Ubriaco D'Amore diventa lo splendido score (splendidamente usato) di Magnolia, gli incessanti movimenti di macchina diventano i piani sequenza di Boogie Nights, la clamorosa fotografia satura quasi espressionista diventa i paesaggi mastodonitici di Il Petroliere nei quali è incastrato Daniel Plainview, sempre inquadrato da lontano con movimento ad avvicinare o da vicino con movimento ad allontanare, per dare l'idea di dove stia e come stia messo rispetto al tutto, all'ambiente e alla terra.

Ubriaco D'Amore potrà non piacere, potrà essere per pochi ma è un film fondamentale di un regista che forse è il più promettente al momento tra le nuove leve di Hollywood. Quella Hollywood (di cui fa parte anche l'altro Anderson) che davvero (per davvero!) sta prendendo il cinema classico con i suoi modi di mettere in scena e lo sta tramutando in qualcosa di più moderno che, senza rinunciare ad un racconto lineare ed incentrato sull'azione, non debba necessariamente rappresentare la realtà com'è ma anche deformata.