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Tuesday, September 28, 2010

Benvenuti al Sud (2010)di Luca Miniero

POSTATO SU
Che dire? Abbiamo rifatto Giù al Nord cioè Bienvenue chez les Ch'tis, il film di maggiore incasso della storia del cinema francese, uscito l'anno scorso. Ed è strano come uno dei rarissimi adattamenti italiani di soggetti originali stranieri sembri davvero un film più adatto a noi che a loro, cioè una storia di stereotipi regionali smentiti.
Nella versione italiana un uomo del nord è costretto ad andare a lavorare al sud come punizione per la sua smania di fare carriera, la vive come un dramma perchè teme tutte quelle cose che si dicono del meridione (mafia, violenza, furti, ostilità, distanza culturale e lassismo). Ovviamente si troverà quasi subito a confronto con la realtà dei fatti, l'azzeramento dei pregiudizi e anzi la preferenza della dimensione di vita meridionale su quella settentrionale. Così la commedia, da che è incentrata sul contrasto idea-del-meridione/realtà-del-meridione, diventa una commedia degli equivoci tesa a mentenere nella moglie meridionale l'idea pericolosa del sud dissimulando la realtà dei fatti.

Ecco perchè sembra un film più da un paese come il nostro, cinematograficamente molto legato alle differenze tra settentrione e meridione e interessato a conciliarle sempre e comunque. Così con un comico del nord e uno del sud, una sceneggiatura ripresa alla lettera e una serie di invenzioni comiche che, si sentono, vengono dal bagaglio delle individualità (Bisio e Siani), il film arriva in porto e strappa qualche risata.

Si potrebbe dire anche missione compiuta, se non fosse che Benvenuti al sud, anche rispetto all'insipido originale, non ha nessuna idea autonoma di sceneggiatura, nessuna trovata comica che sia indipendente dai suoi attori nè una visione autonoma e originale del conflitto regionale. Stupisce in questo senso leggere la firma di Massimo Gaudioso, che altrove non teme le conflittualità e raramente si preoccupa di ignorare differenze e attriti come in questo caso, predigiligendo invece la più complessa esposizione dei problemi e delle dialettiche, non necessariamente da risolvere.
Ma tant'è. Piacerà.

Tuesday, April 21, 2009

Generazione Mille Euro (2009)di Massimo Venier

POSTATO SU
Da tempi di crisi arrivano film che questa crisi la raccontano e Generazione Mille Euro nello specifico si occupa di tutta quella fascia di ragazzi al primo lavoro che non riescono a superare la soglia dei 1.000€, che non hanno certezze, non hanno un contratto che non sia a progetto e che per questi motivi di inquietudine non riescono spesso ad avere il coraggio anche solo di tentare di inseguire i sogni.

Il film di Massimo Venier tratto dal racconto di Incorvaia e Rimassa e sceneggiato particolarmente bene dall'autore con Federica Pontremoli racconta proprio di questo: di un ragazzo che lavora senza garanzie in una società di telecomunicazioni ma che è laureato in matematica e adora lavorare all'università, tuttavia precariato e esigenze lo costringono ad una posizione e un lavoro che non tollera senza tuttavia dargli anche sicurezze economiche. Similmente incontrerà due donne, una sul lavoro decisamente in carriera e pronta a "raccomandarlo", un'altra in casa più dimessa ma pronta ad inseguire i propri sogni. La scelta di vita sarà anche una scelta tra le due.

Tutto questo Venier lo racconta con una bravura e un'abilità assolutamente mai riscontrate nei precedenti lavori. Se la storia ha uno svolgimento canonico e a tratti un po' ruffiano (corse, musica pop e fascino adolescenziale) la forma con cui è raccontata è di prim'ordine!
Assieme Italo Petriccione (direttore della fotografia di fiducia di Salvatores) elabora un mood visivo per il film molto algido, compie scelte forti e coerenti su come riprendere la città (sempre spersonalizzata e condita di palazzoni), come riprendere gli interni e gli esterni (con tutti toni di grigio) e soprattutto su come riprendere i protagonisti (in esterno quasi sempre da lontano e con un forte zoom in modo da schiacciarli contro il paesaggio urbano).
Tutto insieme questo genera una sensazione di indeterminata prigionia in perfetta armonia con i contenuti del film. La forma esalta il contenuto, prendendo uno svolgimento ordinario e rendendolo in una parola: efficace.
E questo da solo è il segnale migliore che si potesse avere per un cinema come il nostro spesso poco attento alla forma (ma per fortuna questo è sempre meno vero).

Interessante infine il bellissimo umanesimo che pervade la pellicola. Cercando di dribblare quanto più possibile il buonismo Venier approda davvero ad una solidarietà civile che storicamente non appartiene molto al nostro cinema "di crisi". Solitamente i nostri film erano molto pessimisti sulle possibilità di aiuto e compassione da parte della società (oltre che da parte delle istituzioni) mentre qui, con approccio da Frank Capra, le persone si fanno forza e si aiutano a vicenda anche senza conoscersi. C'è uno spirito non rassegnato ma anzi pieno di ottimismo ragionato (e non dissennato) che è difficile non applaudire.

Wednesday, March 18, 2009

Fortapasc (2009)di Marco Risi

POSTATO SU
Dopo alcune parentesi tristi sulle quali è meglio sorvolare Marco Risi torna a fare quel cinema per il quale si era fatto notare agli inizi della sua carriera: impegno sociale misto a tecnica cinematografica.

Fortapàsc è davvero pieno di belle idee, guarda tanto a Scorsese per il modo in cui riprende i criminali, per l'uso della musica e per i vorticosi movimenti di macchina che fanno iniziare le scene, ma sa anche trovare moltissime soluzioni personali e particolari mai fini a se stesse.
Belle l'idea dello schiaffo che viene dal nulla per dare l'idea della minaccia invisibile e della solitudine di Siani. Bella l'idea del dialogo con nessuno ad un certo punto e anche l'alternarsi di alto e basso sia a Napoli che a Torre Annunziata.

Le similitudini che si possono intravedere con Gomorra poi non sono mai imitazione ma semmai frutto del fatto che il direttore della fotografia è il medesimo (Marco Onorato). E questo è un altro pregio. Risi non cerca di copiare quello che potrebbe sembrare come il punto di riferimento ma percorre le strade che sa di saper battere in autonomia.
Non scade nemmeno nell'agiografia, cosa inusuale in un film che ricostruisce la vita di un martire della lotta alla Camorra. Il suo Giancarlo Siani non sembra la classica figura realmente esistita ma un vero personaggio da film.

Peccato che però a fronte di tante cose buone poi l'impressione generale sia molto scollata, come se le singole istanze non riuscissero a diventare parte di un tutto armonioso. La storia d'amore su cui molto si insiste non convince mai, il sentimentalismo del rapporto con l'amico drogato nemmeno e così rimane solo la paura crescente nel finale per la morte imminente (annunciata subito ad inizio film).
Sono probabilmente i personaggi a non convincere molto, a non coinvolgere proprio. A fronte di un racconto impeccabile e di tanta buona volontà poi però le figure agite nelle scene sembrano impalpabili. A poco serve l'impegno di Libero De Rienzo (cento volte migliore come attore che come autore) e l'impiego di straordinari caratteristi come Ernesto Mahieux o delle facce da Camorra chiamate a fare i mafiosi.