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Tuesday, January 12, 2010

La prima cosa bella (2009)di Paolo Virzì

POSTATO SU
Era difficile fare un film dopo Tutta la vita davanti che forse proprio per la distanza che aveva dalla realtà quotidiana di Virzì e del suo entourage era riuscito ad essere uno dei punti più alti della sua filmografia per perfezione ed equilibrio. Ora la scelta del regista è ricaduta invece su qualcosa di più classico per lui, una storia di livornesi a Livorno, persone più o meno della sua età, raccontate a metà tra presente e ricordo dell'infanzia (principalmente negli anni '70) senza mai mischiare il ricordo con la nostalgia.

Contrariamente però a quanto aveva fatto in passato quando si era avvicinato a storie che sembravano mettere in scena il suo mondo (Ovosodo escluso) stavolta riesce a mantenere uno dei tratti più interessanti e originali del suo cinema (suo e di Francesco Bruni), cioè la volontà di raccontare oltre agli ultimi anche i pessimi. La prima cosa bella è tempestato di personaggi terribili, più sono protagonisti (più quindi sono indagati) e più si rivelano, a seconda dei tipi, egoisti, indifferenti, irragionevoli e in una parola senza ritegno per i continui danni che provocano alle persone che gli sono accanto, che poi è la cosa più deprecabile in assoluto. Eppure questi pessimi di Virzì sono amabili oltre ogni incertezza e la loro vita come sempre colma fino all'inverosimile di allegre disgrazie per il breve arco di durata del film sembra quasi desiderabile.

Con il suo cinema commovente e divertente (stavolta meno divertente del solito e un pochino più spinto sul melodrammatico) Virzì assolve le figure più orrende in quanto esseri umani, riuscendo ad evitare nello spettatore il fastidio del fatto che una lacrima giustifichi un pugno rendendolo pienamente parte di una dimensione empatica e sentimentale della vita.
Livorno è costantemente deformata da obiettivi particolari messi volutamente in evidenza da particolari movimenti di macchina e la comunanza di direttore della fotografia con Terry Gilliam (Nicola Pecorini) crea strani cortocircuiti dovuti al suo particolare modo di incastrare persone e ambienti deformati. Virzì si concede più di una forzatura al suo modo di mettere in scena anche se poi alla fine tutto sembra contare poco di fronte ai colpi di scena da racconto popolare di cui costella il film e con i quali tenta di accattivarsi l'empatia dello spettatore, che non è mai una cosa carina ma che spesso, come in questo caso, riesce.
E quando riesce non ci si può fare nulla, il film vince anche se non è eccezionale.

Friday, November 20, 2009

Ce N'E' Per Tutti (2009)di Luciano Melchionna

POSTATO SU
Non è ben chiaro quale sia il significato del titolo di questa seconda opera cinematografica di Luciano Melchionna, attore e regista teatrale con l'hobby del cinema, o meglio del teatro in differita. La televisione che ingloba tutti? L'insoddisfazione che è sufficiente per tutti quanti? Oppure è il film che si propone di attaccare un po' tutti?
Ecco sembrerebbe più la terza opzione che altro. Un vago attacco generico contro questi tempi.

Con un piglio teatrale che ha davvero pochissimo di filmico Melchionna scrive (con Luca De Bei) una storia corale incentrata su un ragazzo che, salito sul Colosseo, sembra volersi buttare. Sentita la notizia conoscenti e amici vogliono andare ad assistere, aiutare o vedere che sta succedendo ma per un motivo o per l'altro sembrano non arrivare mai. Ad arrivare è invece un programma televisivo ansioso di riprendere la tragedia e di incentrare la trasmissione sul suicida e la sua famiglia.
Se già il soggetto fa pensare al teatro i dialoghi e la caratterizzazione estrema dei personaggi levano ogni dubbio. Lo straniamento, la metafora abbastanza diretta e quel modo di comunicare con lo spettatore (non per immagini o per intreccio ma per frasi secche e sentenze) risultano ampiamente indigesti allo spettatore di cinema puro, ma anche andando oltre questa contaminazione che sa di cattiva traduzione semiotica rimane la sostanza di un'opera snob, un meccanismo che pretende di essere decodificato e che non prevede alcun livello di lettura immediato.

Melchionna e Bei guardano la società dall'alto come il loro protagonista, ne giudicano gli atteggiamenti, rimpiangono la fine delle possibilità di espressione per i poeti ma anche la fine di un mondo dai valori umanistici alti. Attricette, tronisti, presentatrici, donne frivole e donne insoddisfatte, uomini medi e via dicendo ce n'è per tutti (appunto) ma non per qualcuno che valga la pena attaccare.
E' peggio l'ignorante vittima di un sistema, ingannato da chimere vaghe o l'intellettuale che si ritiene migliore e tenta di insegnargli come vivere senza neanche la decenza di mascherarlo, in un film che per toni, stile e aspirazioni non sarà mai visto da quelle persone che mette alla berlina? Possiamo, in pochi, puntare il dito e ridere dei molti senza farci vedere? Possiamo, ancora, fare un attacco alla tv del realismo e alla tv del dolore con il grottesco senza operare una seria riflessione su cosa quei meccanismi implichino? In un film prodotto da Anna Falchi!

Tuesday, April 28, 2009

Questioni di Cuore (2009)di Francesca Archibugi

POSTATO SU
Pur non essendo un patito dell'altalenante cinema di Francesca Archibugi le ho sempre riconosciuto una levità nel tratto che non è da tutti. Soprattutto ho sempre apprezzato come voglia (e soprattutto riesca!) a farsi ancora interprete con successo del modo prettamente italiano di intendere il cinema, in perfetto equilibrio tra dramma e commedia, tanto che spesso è impossibile dire a quale genere appartengano alcuni suoi film (e già spiazzare con qualcosa, è qualcosa!).

E' il caso di Questioni di Cuore che con tono spesso leggerissimo tratta di un'amicizia fortissima tra uomini, un'amicizia nata in circostanze drammatiche (i due si incontrano nel reparto di terapia intensiva dopo aver avuto un infarto) e cementata da una strana e imprevedibile alchimia.
Questioni di Cuore da questo presupposto parte solamente, andando a fondo poi su altri temi ma tenendo l'amicizia virile in primo piano, ed è strano che sia proprio una donna a ritrarla così bene.

Il film ha un suo intreccio più complesso eppure al di là di esso le cose che rimangono più impresse anche a giorni di distanza dalla visione sono le scene "a due", i momenti di straordinaria intimità (mai omosessuale eppure sempre affettuosa) tra i protagonisti, come ad esempio nella scena a letto (foto a sinistra), qualcosa di unico per spontaneità ed emotività.
Meno interessante infatti mi è sembrata il secondo filo del film, quello del parallelo tra realtà e finzione lasciato al personaggio di Antonio Albanese, che di lavoro è sceneggiatore e che continuamente applica le sue tecniche nella vita vera, insegnando anche al figlio dell'amico come uno che scrive storie guarda la realtà. Nonostante solitamente io venga comprato facilmente da simili espedienti, stavolta il didascalismo e la poesia facile erano troppo facili anche per me.

Kim Rossi Stuart che torna a fare il padre duro e di borgata (questa volta però con ancora più ignoranza e un tipo di camminata stupenda) ricorda sempre il piacevolissimo Anche Libero Va Bene. Ormai quasi una perla.