La questione si potrebbe risolvere in due parole: Forrest Gump.
Il Curioso Caso di Benjamin Button è infatti il classico film realizzato a forma di Oscar, pronto per intrattenere con ironia e sentimento a partire da una storia che ripercorre una parte della storia recente americana. La struttura del racconto poi è quanto di più abusato ci sia: uno dei protagonisti che ormai vecchio rivive tutti gli eventi attraverso la lettura di un diario da parte della figlia. Un modus operandi già visto (solo per dirne due) in Titanic o Il Piccolo Grande Uomo (ma in un certo senso anche nello stesso Forrest Gump).
Del film di Robert Zemeckis questo ha le dinamiche che sorreggono il racconto, cioè quelle che vedono un protagonista strano e innocente passare attraverso i grandi sconvolgimenti con in mente il suo unico vero amore, una donna più dinamica, emancipata e collegata al proprio tempo di lui.
Ciò che invece gli manca è la capacità di far emergere dalla globalità degli elementi di messa in scena un vero senso, nonchè la capacità di intrattenere che una volta era la caratteristica principale di Fincher. Solo la divina Cate Blanchett riesce con quel suo sguardo che E' cinema esso stesso a regalare momenti di coinvolgimento (come quando vede Benjamin tornato giovane dalla guerra).
Sebbene come idea quella alla base di Benjamin Button non abbia nulla da invidiare a quella alla base di Forrest Gump (un uomo che nasce vecchio e a mano a mano che vive ringiovanisce), lo stesso i personaggi non sono altrettanto affascinanti, lo stesso le loro idee e le loro interazioni non riescono a farsi paradigmatiche. Non incarnano un periodo, non incarnano un modo di vivere nè tantomeno la propria unicità.
Fuori dai canoni di una narrazione dotata di un intreccio originale (per quanto sia strano lo spunto della trama alla fine la trama è molto canonica) Fincher si trova male. Costretto a venire a patti con un'idea classica di racconto non riesce a staccarsi dal manierismo e dalla calligrafia, risultando in due ore e mezza scorrevoli ma inevitabilmente piatte e ripiegate sul già visto. Anche la locandina inevitabilmente è ricalcata su un'altra (che gli è superiore per le espressioni più convincenti dei volti e per come sono stretti nel quadro).
Il Curioso Caso di Benjamin Button è infatti il classico film realizzato a forma di Oscar, pronto per intrattenere con ironia e sentimento a partire da una storia che ripercorre una parte della storia recente americana. La struttura del racconto poi è quanto di più abusato ci sia: uno dei protagonisti che ormai vecchio rivive tutti gli eventi attraverso la lettura di un diario da parte della figlia. Un modus operandi già visto (solo per dirne due) in Titanic o Il Piccolo Grande Uomo (ma in un certo senso anche nello stesso Forrest Gump).
Del film di Robert Zemeckis questo ha le dinamiche che sorreggono il racconto, cioè quelle che vedono un protagonista strano e innocente passare attraverso i grandi sconvolgimenti con in mente il suo unico vero amore, una donna più dinamica, emancipata e collegata al proprio tempo di lui.
Ciò che invece gli manca è la capacità di far emergere dalla globalità degli elementi di messa in scena un vero senso, nonchè la capacità di intrattenere che una volta era la caratteristica principale di Fincher. Solo la divina Cate Blanchett riesce con quel suo sguardo che E' cinema esso stesso a regalare momenti di coinvolgimento (come quando vede Benjamin tornato giovane dalla guerra).
Sebbene come idea quella alla base di Benjamin Button non abbia nulla da invidiare a quella alla base di Forrest Gump (un uomo che nasce vecchio e a mano a mano che vive ringiovanisce), lo stesso i personaggi non sono altrettanto affascinanti, lo stesso le loro idee e le loro interazioni non riescono a farsi paradigmatiche. Non incarnano un periodo, non incarnano un modo di vivere nè tantomeno la propria unicità.
Fuori dai canoni di una narrazione dotata di un intreccio originale (per quanto sia strano lo spunto della trama alla fine la trama è molto canonica) Fincher si trova male. Costretto a venire a patti con un'idea classica di racconto non riesce a staccarsi dal manierismo e dalla calligrafia, risultando in due ore e mezza scorrevoli ma inevitabilmente piatte e ripiegate sul già visto. Anche la locandina inevitabilmente è ricalcata su un'altra (che gli è superiore per le espressioni più convincenti dei volti e per come sono stretti nel quadro).
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