L'umanesimo di Akira Kurosawa quasi stucchevole a tratti si misura con una dinamica nota, quella del gangster che cerca un riscatto sul finire della sua vita, ma lo fa contrapponendogli una figura molto particolare ovvero un medico che secondo le regole dovrebbe essere il polo buono, umano e positivo ma che nella pratica del film lo è solo a tratti.
La matrice fondamentale sembra essere un melodramma, anche per l'uso espressionista delle condizioni climatiche (un caldo asfissiante), tuttavia il film si distanzia ben presto dagli stereotipi e dai luoghi comuni del genere per approdare ad un obiettivo decisamente più ambizioso.
Il medico è l'angelo ubriaco del titolo, figura storicamente positivissima in tutti i melodrammi ma qui affrontata con un'inedita complessità. Nonostante la preponderanza dello yakuza Mifune, alla fine è il medico Shimura a rappresentare il vero cuore del film, intorno a lui ruotano tutti i personaggio e su di lui sono calibrate tutte le scene.
Intenso e rigoroso come sempre il Kurosawa di L'Angelo Ubriaco contiene a fatica uno stile che esploderà in seguito, modera i suoi fenomenali carrelli ed è tutto preso dall'inserire i suoi personaggi in un ambiente ben specifico (la periferia) facendo attenzione a che ogni volta sia il paesaggio a determinare le interazione e a ridefinire ciò che accade grazie ad un uso sistematico (ma non è certo la prima nè l'ultima volta) della profondità di campo. Del resto erano gli anni del rapporto personaggio/paesaggio e non stupisce come anche Kurosawa sperimentasse in questo senso (poi dopo arriverà la sublimazione con Dodes' Ka-Den).
Ogni passeggiata è fatta davanti a muri diroccati, ogni discorso in interni sfondati, ogni acme emotivo accanto alla terribile palude dove giocano i bambini.
La matrice fondamentale sembra essere un melodramma, anche per l'uso espressionista delle condizioni climatiche (un caldo asfissiante), tuttavia il film si distanzia ben presto dagli stereotipi e dai luoghi comuni del genere per approdare ad un obiettivo decisamente più ambizioso.
Il medico è l'angelo ubriaco del titolo, figura storicamente positivissima in tutti i melodrammi ma qui affrontata con un'inedita complessità. Nonostante la preponderanza dello yakuza Mifune, alla fine è il medico Shimura a rappresentare il vero cuore del film, intorno a lui ruotano tutti i personaggio e su di lui sono calibrate tutte le scene.
Intenso e rigoroso come sempre il Kurosawa di L'Angelo Ubriaco contiene a fatica uno stile che esploderà in seguito, modera i suoi fenomenali carrelli ed è tutto preso dall'inserire i suoi personaggi in un ambiente ben specifico (la periferia) facendo attenzione a che ogni volta sia il paesaggio a determinare le interazione e a ridefinire ciò che accade grazie ad un uso sistematico (ma non è certo la prima nè l'ultima volta) della profondità di campo. Del resto erano gli anni del rapporto personaggio/paesaggio e non stupisce come anche Kurosawa sperimentasse in questo senso (poi dopo arriverà la sublimazione con Dodes' Ka-Den).
Ogni passeggiata è fatta davanti a muri diroccati, ogni discorso in interni sfondati, ogni acme emotivo accanto alla terribile palude dove giocano i bambini.
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