L'Amore Ai Tempi Del Colera è il classico film che facilmente sconfina nella categoria "film di attori", cioè quelle pellicole nelle quali tutto è affidato alle prestazioni degli attori (solitamente di grosso calibro) e in funzione loro viene ridefinito tutto il resto.
Questa volta ci sono Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno e John Leguizamo (in una parte più defilata) e come base il libro di Marquez. Come era prevedibile la storia e i personaggi vincono, anzi hanno già vinto, sono interessanti, intriganti, completi e quant'altro, è semmai il cinema a perdere.
Come infatti capita spesso per i "film di attori", il cinema è trascurato e la messa in scena si crogiola in lunghe battute, primi piani intensi e molte scene madri lasciando appunto all'interpretazione degli attori la comunicazione dei significati del film e non alla più usuale grammatica del cinema. Per questo il cinema viene sconfitto, perchè il suo linguaggio viene ridotto e semplificato ad una sola delle sue dimensioni.
Certo va dato atto Newell di riuscire nell'impresa non facile di non rendere ridicole le situazioni e i personaggi che considerando la storia potevano risultare comici sullo schermo, inoltre riesce anche a trattenere le gigionerie di personaggi come Leguizamo (fiammeggiante eppur moderato in un ruolo che è una chicca). Ma altro non c'è. O meglio c'è Bardem.
Forse Javier Bardem al momento è l'unico attore per il quale direi che vale la pena andare al cinema unicamente per vederlo, l'unico dotato di uno sguardo, di una posa e di un modo di stare davanti alla macchina da presa che sono cinema e non recitazione, che è linguaggio del corpo e non parole, che è messa in scena e non teatralità.
Questa volta ci sono Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno e John Leguizamo (in una parte più defilata) e come base il libro di Marquez. Come era prevedibile la storia e i personaggi vincono, anzi hanno già vinto, sono interessanti, intriganti, completi e quant'altro, è semmai il cinema a perdere.
Come infatti capita spesso per i "film di attori", il cinema è trascurato e la messa in scena si crogiola in lunghe battute, primi piani intensi e molte scene madri lasciando appunto all'interpretazione degli attori la comunicazione dei significati del film e non alla più usuale grammatica del cinema. Per questo il cinema viene sconfitto, perchè il suo linguaggio viene ridotto e semplificato ad una sola delle sue dimensioni.
Certo va dato atto Newell di riuscire nell'impresa non facile di non rendere ridicole le situazioni e i personaggi che considerando la storia potevano risultare comici sullo schermo, inoltre riesce anche a trattenere le gigionerie di personaggi come Leguizamo (fiammeggiante eppur moderato in un ruolo che è una chicca). Ma altro non c'è. O meglio c'è Bardem.
Forse Javier Bardem al momento è l'unico attore per il quale direi che vale la pena andare al cinema unicamente per vederlo, l'unico dotato di uno sguardo, di una posa e di un modo di stare davanti alla macchina da presa che sono cinema e non recitazione, che è linguaggio del corpo e non parole, che è messa in scena e non teatralità.
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