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Thursday, June 4, 2009

Ca$h (id., 2009)di Eric Besnard

POSTATO SU
La fascinazione che un popolo fiero, autonomo e foriero di ottimi prodotti come quello francese subisce rispetto all’America quando si parla di cinema è qualcosa che sarebbe degno del migliore degli studi. Dalla Nouvelle Vague in poi il cinema francese ha guardato a quello statunitense per acquisire stili, generi e modi di fare. La cosa ovviamente ha avuto risultati alterni e Ca$h sicuramente non entrerà a far parte del novero dei risultati migliori.

Il film è la classica storia di truffe, genere in cui ad Hollywood sono maestri e che ha mille ragioni di fascino. In primis perchè si mettono in gioco personaggi carismatici in grado di avere sempre l’ultima parola in uno scontro di intelligenze, poi perchè per definizione il genere gioca a spiazzare lo spettatore coinvolgendolo in una serie di inganni che sebbene siano giustificati dalla trama alla fine sono ai suoi danni e infine perchè per fare una truffa in grande stile bisogna andare lì dove i soldi stanno e imitare Golia essendo Davide.

Tutte queste regole Ca$h le porta all’estremo esagerando in tutto e rompendo da subito il giocattolo, come del resto da poco ha fatto anche Duplicity. Truffatori onnipotenti, inganni a ripetizione tanto da diventare imprevedibili e confusissimi, iperboli poco credibili, buchi di sceneggiatura e un generale senso d’onnipotenza del regista che non trova conferma nel godimento del film, sono i principali motivi di irritamento dello spettatore. Ma potrebbe essere aggiunto come il film scelga di rifarsi ad un modello estetico già in sè non esaltante come la serie dei vari Ocean di Soderbergh.

Split screen, colori saturi, interni illuminati di giorno, montaggio musicato onnipresente e una ricercatezza formale assolutamente sterile e non in armonia con il racconto che si fa, sono solo alcuni degli elementi che mostrano il debito con la banda Pitt & Clooney. Forse però il vero motivo per il quale alla fine Ca$h non riesce a coinvolgere è che non c’è possibile identificazione mai. Le figure messe in campo sono inumane e non tanto per quello che fanno (ci si immedesima pure con Superman!) ma per come lo fanno, cioè senza provare mai sentimenti autentici. Sono personaggi deumanizzati a favore di una trama che deve giustificare tutto e ingannare di continuo lo spettatore invece che sorprenderlo.

Se cliccate sull'immagine di sinistra e la vedete grande noterete come lo sguardo di Reno sembri dire "Scusate... E' che mi pagano bene...".

Tuesday, February 24, 2009

Giulia Non Esce La Sera (2008)di Giuseppe Piccioni

POSTATO SU
E' questo il cinema italiano che ci piace? La risposta per quanto mi riguarda è un no, grosso, tondo e pieno di sicurezze.
Non mi piace questo cinema italiano e anzi è il simbolo di tutto ciò che trovo "sbagliato". Sbagliato per tante ragioni, la prima delle quali è la più grossa di tutte: non raggiunge gli obiettivi che si pone, spara alto e manca inesorabilmente il bersaglio. E la seconda è la più spietata: non incassa così tanto da fare se non altro il bene del sistema cinema.

Piccioni vuole raccontare mondi interiori, contrasti emotivi, personaggi più o meno ordinari coinvolti in situazioni non eccessivamente straordinarie per scandagliare le emozioni di tutti noi e parlare allo spettatore tenendo i piedi per terra, ma non ci riesce quasi mai.
Punta continuamente sulla metafora, sul simbolismo e su immagini che vorrebbero essere poetiche ma che non riescono mai ad esserlo davvero. Si può davvero pretendere di fare queste cose senza saperle fare e senza essere mai riuscito a farle??

"Sembra di sentire la voce del regista da dietro la macchina da presa che dice <>" disse con efficacia qualcuno che non ricordo in un'occasione che non rammento per spiegare come in questi film si cerchi il massimo risultato con il minimo impiego di competenza. Non il minimo sforzo, perchè quello non lo so, ma il minimo movimento intellettuale. Dove l'unica novità è l'ambientazione. Stavolta la piscina.

Quanto ancora mi toccherà vedere lo straordinario Mastandrea preso in questi film che girano in tondo? Quanto ancora lo dovrò vedere lottare titanicamente per tenere alta un'intera pellicola invece che cavalcarne e magari guidarne la riuscita? Perchè mi devo appigliare alle stupende idee visive di Luca Bigazzi per non cadere nel sonno?

Non mi piacciono questi film che mettono in scena senza che ce ne sia un vero motivo personaggi intellettuali che fanno lavori intellettuali, personaggi che sono gli autori stessi oppure gli autori da piccoli. Non mi piacciono questi film che continuano a riflettere sulle vite di chi li fa, totalmente scollati dalla realtà, che non puntano mai sull'intreccio ma sul racconto di personaggi ed emozioni senza poi riuscire a farlo davvero.

Giulia Non Esce La Sera (titolo brutto in una maniera che solo noi potevamo concepire) poi a tre quarti diventa anche lento e noiosissimo. Se la storia non è appassionante e i personaggi non mostrano emozioni convincenti ma solo piccole schegge di sentimentalismo a buon mercato (e si tratta sempre di quelle schegge umoristiche), io come mi appassiono? Io da cosa rimango colpito? Dai silenzi di Mastandrea (porello)? Dalle scene sott'acqua in piscina che dovrebbero essere un sacco evocative? Dai personaggi immaginati dallo scrittore che lo perseguitano nella realtà? No sul serio quelle cose funzionano? A voi vi prendono?

Sunday, December 30, 2007

Lascia Perdere, Johnny! (2007)di Fabrizio Bentivoglio


Recupero al cinema il film di Bentivoglio perso alle anteprime pieno di curiosità per le buone voci sentite ma la delusione è in agguato.
Bentivoglio infatti dirige senza personalità un film che di particolare e originale ha unicamente una parte della trama, perchè per il resto è il classico film italiano degli ultimi anni: stretto nella crasi tra provincia e grande città, che si guarda indietro, tentando una riflessione sugli affetti e sull'arte e/o il lavoro creativo attraverso il racconto della formazione di un ragazzo.
Un po' sognatore da una parte, un po' buonista dall'altra, che non nega la realtà da lupi del nostro paese ma che contemporaneamente ne dà una visione consolatoria (la figura di Ernesto Mahieux). Tutto raccontato con una voce off molto invadente e girato con poca cura (gli attori che interpretano i musicisti, Bentivoglio a parte, non sanno suonare e si nota), recitato ottimamente (oltre al grandissimo Mahieux c'è Bentivoglio stesso, Toni Servillo e Valeria Golino più il solito straordinario insieme di caratteristi regionali) e scritto con superficialità e molta banalità, specialmente nelle facili metafore (il sogno, il naufragio in motoscafo, la pioggia durante il concerto e gli incontri con le prostitute).

Tuttavia nonostante il forte disappunto per l'ennesima speranza delusa di un cinema diverso, più particolare e soddisfacente, non posso negare che Bentivoglio non gira male (quanto meno non peggio della media) e ha una voglia e un piglio per il racconto che magari possono ottenere sbocchi migliori.
Il finale aperto del film, per quanto simil-consolatorio, non era male e alcune figure dipinte con pochi tocchi mi hanno convinto (il "maestro" Toni Servillo). Ma appunto nulla che vada più in là dell'ordinaria amministrazione.