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Thursday, April 29, 2010

Gli Amori Folli (Les herbes folles, 2009)di Alain Resnais

POSTATO SU
Da quando lo fece Truffaut con Abel Gance è diventata efficace figura retorica affermare che un cineasta molto vecchio ma ancora in attività è "il più giovane tra i nostri registi" e sarà forse per l'assonanza nouvellevaghesca ma guardando Gli amori folli non si riesce a non pensare a quest'affermazione.
Già Cuori aveva mostrato che a 84 anni Resnais ha ancora idee da vendere. Ora, a 88 anni, ha realizzato un film che, pur mostrando la mano grinzosa che l'ha composto attraverso una pomposità e un retaggio letterario che sono sia caratteristica degli anziani sia di quella generazione di cineasti francesi, ha la rapidità di movimento di un ventenne!
Se al confronto penso a Le Rose Del Deserto mi sento male.

Gli amori folli (ah! L'amore nei titoli italiani...) comincia con le erbe folli del titolo originale, cioè quelle piante che in maniera totalmente inaspettata fanno la cosa più strana e imprevedibile, crescono tra le pieghe dell'asfalto e delle rocce (facile metafora dei sentimenti dei protagonisti), dopodichè è un turbine di eventi, amori, follie da parte di una coppia di circa-sessantenni. Storie che sembrano quasi di provincia per quanto sono piccole e ordinarie, fatte di sentimenti ed intrecci in cui Resnais cerca una dimensione estetica tutta particolare in grado che consenta le venature di grottesco di cui contamina il film e soprattutto eviti la piccolezza per giungere alla grandezza.

E' anche un film divertente Gli amori folli, a tratti surreale (le sequenze felliniane nell'hangar) a tratti sognante, a tratti metacinematografico e colmo di quelle caratteristiche del cinema francese anni '60 (che nemmeno Audiard disdegna) come mascherini ad iride e la retorica sul cinema, la sala e i film.
Ma come si diceva nel suo raccontare di un amore folle che scoppia fuori tempo massimo, ma non per questo rinuncia alla sua forza, Resnais, utilizza punti di inquadratura inusuali (mai vista una scena in macchina filmata così con quelle variazioni cromatiche date dal semaforo) e muove la macchina da presa per vie stranissime, a volte anche poco funzionali, giusto per sperimentare modi nuovi di guardare ai medesimi racconti.

Su tutto aleggia una colonna sonora di Mark Snow modernissima, un altro elemento straniante che contribuisce a modificare la lettura di quella storia e quelle immagini. Cioè un altro elemento formale molto modernizzante affiancato e ben amalgamato con una storia vecchio stampo.

Monday, June 1, 2009

Coco Avant Chanel (id., 2009)di Anna Fontaine

POSTATO SU
Potrei dire "no" a Coco Avant Chanel perchè è un biopic (e basterebbe!), potrei dire di "no" perchè è identico a La Vie En Rose, potrei dire di "no" perchè racconta una vita poco interessante cercando di farla sembrare appassionante o infine potrei dire di "no" perchè è semplicemente noioso e banale. Ma scelgo di dire "no" a Coco Avant Chanel perchè relega in un angolo gli sconvolgimenti portati nella società dalla stilista Chanel, dimostrando così di poterne e volerne parlare, ma di volersi concentrare invece sul già visto, già noto, già sentito.

Talmente sono tutte uguali queste vite normali romanzate per sembrare eccezionali che davvero si notano poche differenze tra la struttura di Coco Avant Chanel e quelle utilizzate per rendere "accattivanti" la vita di Miss Potter o quella di Edith Piaf.
Una donna cerca un uomo ma non riesce ad integrarsi nella struttura sociale del suo tempo che la vede subordinata ad un maschio dominante, vuole anche lavorare e alla fine nonostante riesca ad intrecciare una relazione insperata e passionale la vede naufragare tragicamente. A quel punto l'aspetta una vita di solitudine e soddisfazione professionale.

In sè la cosa sarebbe anche femminista, una donna più avanti del suo tempo che vuole affermare la propria indipendenza, ma se guardiamo questi progetti nel loro insieme è facile capire come in realtà non siano per nulla femministi, anzi. Si racconta sempre e solo di donne che si affermano unicamente in seguito a fallimenti nella vita privata. Per quanto ne sappiamo da questi film biografici le uniche donne capaci di affermarsi come e meglio degli uomini dovrebbero essere quelle che non riescono a trovare un buon marito. Il che è alquanto retrogrado.
Dunque fintamente appassionante, fintamente femminista e fintamente emblematico anche Coco Avant Chanel va ad ingrossare la lunga lista di film biografici assolutamente non necessari.

L'unica eccezione al piattume di tutta la pellicola è però la scena finale, non solo molto bella cinematograficamente (per come è giocata sul non visto e il riflesso, sul controcampo negato e sul netto stacco con il resto del film) ma anche estremamente significativa.
Dopo aver assistito ad un film praticamente in costume si passa attraverso un piccolo salto temporale che sembra un salto millenario per il cambio di vestiti. Le signore cominciano a vestire Chanel e da che sembrava l'800 (anche se erano i primi anni del '900) di colpo sembrano gli anni '60 (anche se si tratta più o meno degli anni '20 e '30). Ma 5 minuti di vero cinema non bastano a salvare l'anima un intero film.

Sunday, March 8, 2009

I Re E La Regina (Rois et Reine, 2004)di Arnauld Desplechin

Non ha davvero nessun senso parlare di Nouvelle Vague per un film moderno. Davvero. Non lo ha perchè quel termine non solo indica un cinema di un'altra epoca ma soprattutto definisce un insieme di intenti, volontà e modi di procedere che oggi non esistono.
Eppure com'è che vedendo i film di Desplechin non si riesce a non pensare a Truffaut e a quel modo di intendere il cinema?

I re del titolo sono i molti uomini che girano attorno alla vita della protagonista, che palesemente, è la regina. Despleschin ricorre al suo casting abituale che si rivela forse ancora più azzeccato che negli altri casi.
Sempre interessato alle dinamiche di attribuzione delle colpe e del diritto di giudicare o fare da carnefice all'interno delle famiglie il regista francese gira un film vorticoso ma tutto interiormente ai personaggi.
Matti che poi non lo sono così tanto e vittime che in realtà sono loro malgrado carnefici, ma anche lettere che si rivelano determinanti per ribaltare la percezione che lo spettatore ha dei ruoli in gioco e una straordinaria apparizione di un fantasma.

A rendere tutto convincente però non è tanto la trama (ottimamente illustrata sebbene non linearmente) ma lo stile di regia di Desplechin, che non lascia che nulla accada sullo schermo senza che lo spettatore avverta l'alone di sentimento che lo pervade. In film come questi ci si può commuovere per un saluto o per un risveglio.