Sono pronte le nomination ma io gli Oscar li odio. Li odio perchè non riesco ad essergli indifferente, stringo con loro un rapporto di complesso disprezzo.
Li odio perchè ti ingannano di continuo, rispondono a logiche extra-filmiche ma non sempre, spesso ti illudono di avere radici cinematografiche alla base delle loro scelte per poi provare il contrario l’anno seguente essendo quindi imprevedibili e ingannevoli.
Ti calamitano in una competizione assurdamente forsennata e più coinvolgente di quella dei festival perchè tra film che già hai visto e poi ti frustrano stabilendo vincitori e vinti in base a criteri che non sono quelli delle premesse. E nonostante tutto questo ormai sia chiaro e risaputo (non fosse altro che per la mia esperienza personale di annuale consultazione dei risultati), lo stesso mi coinvolgono ogni volta nel meccanismo attesa/tifo/delusione.
Ogni anno mi copro gli occhi con le mani dicendo di non volerli seguire ma poi apro un po’ le dita che coprono gli occhi per guardare e incazzarmi.
Alla fine l’ho capito il perchè. Non è per quel vago senso di giustizia universale che pensavo all’inizio, nè per una forma di adesione ai valori dell’Academy che comunque esiste (l’importanza delle commercialità e del valore puramente economico del film), ma per i protagonisti della storia.
Non mi importa molto che The Departed vinca l’Oscat come miglior film, mi importa che Martin Scorsese riceva quella statuetta e non perchè penso che la meriti (incorrerei nel solito errore di attribuire alla scelta un valore filmico) ma perchè so che la vuole, come la vogliono i suoi concorrenti, e per questo la deve avere, perchè è migliore di loro. Ecco perchè.
Non so bene cosa spinga la maggior parte degli operatori nel cinema americano a desiderare tanto quel premio, anche più dei più sostanziosi e ponderati riconoscimenti europei, ma fatto sta che lo desiderano. Credo che la cosa abbia a che vedere con la loro origine: “Non posso ignorare il fatto di essere americano ed essere cresciuto in questo sistema, quando faccio film non posso non pensare di dover fare intrattenimento” dice (con beneficio di parafrasi) proprio Scorsese in uno dei suoi documentari sul cinema e lì mi sembra stia tutta la questione, nell’essere comunque americani e desiderare fortemente quello che è il riconoscimento più importante del proprio paese. Desiderare di essere accettati e incensati non da persone comunque lontane come gli europei ma dai propri simili, quelli della porta accanto, quelli con cui si è cresciuti e che si è odiato e amato.
Esistono poi un mucchio di questioni legate ai soldi, al marketing, alla carriera, alla facilità di fare un film (uno solo però) dopo aver vinto una statuetta che concorrono al desiderio di vittoria, quelle però sono tutte cose magari di importanza primaria eppure svincolate dai sentimenti, aspirazioni di carriera comprensibili e necessarie ma insufficienti a generare quella felicità o quel disappunto (entrambi palesi nelle dichiarazioni pre e post vittoria o sconfitta) che sono il mio cruccio.
Perchè io in fondo a questi gli voglio bene (ad alcuni, altri li odio con la medesima intensità) e quando sono tristi loro sono triste io e quando sono felici loro sono felice io.
Li odio perchè ti ingannano di continuo, rispondono a logiche extra-filmiche ma non sempre, spesso ti illudono di avere radici cinematografiche alla base delle loro scelte per poi provare il contrario l’anno seguente essendo quindi imprevedibili e ingannevoli.
Ti calamitano in una competizione assurdamente forsennata e più coinvolgente di quella dei festival perchè tra film che già hai visto e poi ti frustrano stabilendo vincitori e vinti in base a criteri che non sono quelli delle premesse. E nonostante tutto questo ormai sia chiaro e risaputo (non fosse altro che per la mia esperienza personale di annuale consultazione dei risultati), lo stesso mi coinvolgono ogni volta nel meccanismo attesa/tifo/delusione.
Ogni anno mi copro gli occhi con le mani dicendo di non volerli seguire ma poi apro un po’ le dita che coprono gli occhi per guardare e incazzarmi.
Alla fine l’ho capito il perchè. Non è per quel vago senso di giustizia universale che pensavo all’inizio, nè per una forma di adesione ai valori dell’Academy che comunque esiste (l’importanza delle commercialità e del valore puramente economico del film), ma per i protagonisti della storia.
Non mi importa molto che The Departed vinca l’Oscat come miglior film, mi importa che Martin Scorsese riceva quella statuetta e non perchè penso che la meriti (incorrerei nel solito errore di attribuire alla scelta un valore filmico) ma perchè so che la vuole, come la vogliono i suoi concorrenti, e per questo la deve avere, perchè è migliore di loro. Ecco perchè.
Non so bene cosa spinga la maggior parte degli operatori nel cinema americano a desiderare tanto quel premio, anche più dei più sostanziosi e ponderati riconoscimenti europei, ma fatto sta che lo desiderano. Credo che la cosa abbia a che vedere con la loro origine: “Non posso ignorare il fatto di essere americano ed essere cresciuto in questo sistema, quando faccio film non posso non pensare di dover fare intrattenimento” dice (con beneficio di parafrasi) proprio Scorsese in uno dei suoi documentari sul cinema e lì mi sembra stia tutta la questione, nell’essere comunque americani e desiderare fortemente quello che è il riconoscimento più importante del proprio paese. Desiderare di essere accettati e incensati non da persone comunque lontane come gli europei ma dai propri simili, quelli della porta accanto, quelli con cui si è cresciuti e che si è odiato e amato.
Esistono poi un mucchio di questioni legate ai soldi, al marketing, alla carriera, alla facilità di fare un film (uno solo però) dopo aver vinto una statuetta che concorrono al desiderio di vittoria, quelle però sono tutte cose magari di importanza primaria eppure svincolate dai sentimenti, aspirazioni di carriera comprensibili e necessarie ma insufficienti a generare quella felicità o quel disappunto (entrambi palesi nelle dichiarazioni pre e post vittoria o sconfitta) che sono il mio cruccio.
Perchè io in fondo a questi gli voglio bene (ad alcuni, altri li odio con la medesima intensità) e quando sono tristi loro sono triste io e quando sono felici loro sono felice io.
No comments:
Post a Comment