Nella sterminata e concitata produzione di Koji Wakamatsu (roba da 3 film l'anno), questo Shinjuku Mad si configura come una delle opere più lineari viste fino ad ora, incentrato tutto sulla ricerca che un uomo di campagna venuto a Tokyo fa degli assassini di suo figlio.
Wakamatsu appartiene all'avanguardia pop giapponese e nei suoi film dichiaratamente indaga i temi di sesso e violenza, un legame che non riesce a scindere e che score a partire da personaggi ossessionati. Eppure nel momento in cui ritrae la controcultura giapponese, figlia delle rivoluzioni (o supposte tali) dell'amore libero, lo fa mostrando un totale disaccordo.
Tutto il film è il contrasto tra un postino di campagna che rappresenta il vecchio Giappone e le gang giovanili, in cui era coinvolto il figlio e nelle quali l'uomo cerca l'assassino, che sono il nuovo Giappone. I valori che si scontrano sono quelli che si può immaginare, rispetto dei valori, sobrietà, rigore, disciplina e ideali.
Un tema da film di Ozu, trattato dal medesimo punto di vista, ma con tutto un altro stile. Poteva dunque essere un remake di un film di Ozu (se non fosse che sesso e violenza in quel cinema non esistono), fatto cercando altri percorsi, con una macchina da presa sì statica (solo in alcuni momenti a mano) ma messa di continuo in punti non ortodossi, obiettivi deformanti e una netta predominanza della forma sui contenuti.
Tuttavia come si diceva la posizione rispetto allo scontro tra vecchio e nuovo Giappone è la medesima. Il movimento controculturale è dipinto come un insieme non chiaro di opportunisti interessati a fare sesso liberamente e solo blandamente giustificati da velleità rivoluzionarie. Ideali che crollano davanti al più elementare dei contraddittori come avviene nell'originalissimo showdown finale tutto verbale (immagine centrale).
Wakamatsu per raccontare questa storia parte da immagini di Tokyo in un bianco e nero molto saturo con grande profondità di campo. Incastona nella città l'uomo di campagna, lo riprende pedinandolo letteralmente in un viaggio che (per lui) è una discesa all'inferno. Un viaggio che è fisico e mentale, poichè più va avanti più comprende dettagli sulla morte del figlio.
Le istituzioni non esistono e tutti gli ambienti sono rivoltati dalla presenza di questi "figli dei fiori" asiatici (come il parco giochi dove fanno sesso).
Particolare menzione per la colonna sonora tutta originale che ha un'importanza fondamentale. Spesso ridondante e anche fastidiosa (specialmente nei pezzi più jazzettati) ma altre volte ricca di significato e in grado di dialogare con le immagini dando valore aggiunto è la vera parte sperimentale del film, che per il resto racconta una storia come già si è visto fare, scegliendo sempre punti di vista particolari.
Wakamatsu appartiene all'avanguardia pop giapponese e nei suoi film dichiaratamente indaga i temi di sesso e violenza, un legame che non riesce a scindere e che score a partire da personaggi ossessionati. Eppure nel momento in cui ritrae la controcultura giapponese, figlia delle rivoluzioni (o supposte tali) dell'amore libero, lo fa mostrando un totale disaccordo.
Tutto il film è il contrasto tra un postino di campagna che rappresenta il vecchio Giappone e le gang giovanili, in cui era coinvolto il figlio e nelle quali l'uomo cerca l'assassino, che sono il nuovo Giappone. I valori che si scontrano sono quelli che si può immaginare, rispetto dei valori, sobrietà, rigore, disciplina e ideali.
Un tema da film di Ozu, trattato dal medesimo punto di vista, ma con tutto un altro stile. Poteva dunque essere un remake di un film di Ozu (se non fosse che sesso e violenza in quel cinema non esistono), fatto cercando altri percorsi, con una macchina da presa sì statica (solo in alcuni momenti a mano) ma messa di continuo in punti non ortodossi, obiettivi deformanti e una netta predominanza della forma sui contenuti.
Tuttavia come si diceva la posizione rispetto allo scontro tra vecchio e nuovo Giappone è la medesima. Il movimento controculturale è dipinto come un insieme non chiaro di opportunisti interessati a fare sesso liberamente e solo blandamente giustificati da velleità rivoluzionarie. Ideali che crollano davanti al più elementare dei contraddittori come avviene nell'originalissimo showdown finale tutto verbale (immagine centrale).
Wakamatsu per raccontare questa storia parte da immagini di Tokyo in un bianco e nero molto saturo con grande profondità di campo. Incastona nella città l'uomo di campagna, lo riprende pedinandolo letteralmente in un viaggio che (per lui) è una discesa all'inferno. Un viaggio che è fisico e mentale, poichè più va avanti più comprende dettagli sulla morte del figlio.
Le istituzioni non esistono e tutti gli ambienti sono rivoltati dalla presenza di questi "figli dei fiori" asiatici (come il parco giochi dove fanno sesso).
Particolare menzione per la colonna sonora tutta originale che ha un'importanza fondamentale. Spesso ridondante e anche fastidiosa (specialmente nei pezzi più jazzettati) ma altre volte ricca di significato e in grado di dialogare con le immagini dando valore aggiunto è la vera parte sperimentale del film, che per il resto racconta una storia come già si è visto fare, scegliendo sempre punti di vista particolari.
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