A me Gus Van Sant mi ha sempre intrigato, con le sue mille ricercatezze che se pure non sempre vanno a segno mi commuovono per la ricerca spasmodica di un cinema più forte.
Se poi si considera il sistema nel quale è cresciuto e nel quale lavora (quello americano) la cosa è ancora più strana e curiosa. Se però le sue prime opere erano abbastanza immature e le sue opere di mezzo molto al servizio degli studios, con gli ultimi film ha trovato finalmente un modo di fare cinema che piace a me (che, voglio dire, è la cosa che più conta!).
Soprattutto in Paranoid Park, ritrova Christopher Doyle, il mito. Dopo l'acutissimo remake di Psycho finalmente tornano insieme e il risultato si vede e come, il film ha tutto un altro passo estetico rispetto alla solita produzione di Van Sant, consentendogli di potersi concentrare anche su altro come una colonna sonora molto particolare e in certi punti davvero sorprendente (per l'uso che fa di musica orchestrata per altri film, in particolare Nino Rota).
La storia pure è sufficientemente decostruita. Dove per sufficientemente intendo proprio sufficientemente, cioè non troppo e non troppo poco. Tratto da un libro Paranoid Park se ne distanzia subito e su un canovaccio da thriller instaura tutto un altro discorso disinteressandosi dell'intreccio e guardando unicamente il suo protagonista perchè solo lui conta.
Avrete capito che Paranoid Park è un film decisamente all'europea (ma molto proprio!) pur fatto in stile americano. E sorpresa delle sorprese anche lo stile di lavorazione è stato fortemente europeo quasi nouvellevaghiano, con gli attori reclutati tra veri skaters e le scene e le battute concordate di giorno in giorno tra il regista e loro. Una lavorazione libera come non sono possibili ad Hollywood che finalmente fa centrare totalmente il segno a Van Sant. Godo.
Se poi si considera il sistema nel quale è cresciuto e nel quale lavora (quello americano) la cosa è ancora più strana e curiosa. Se però le sue prime opere erano abbastanza immature e le sue opere di mezzo molto al servizio degli studios, con gli ultimi film ha trovato finalmente un modo di fare cinema che piace a me (che, voglio dire, è la cosa che più conta!).
Soprattutto in Paranoid Park, ritrova Christopher Doyle, il mito. Dopo l'acutissimo remake di Psycho finalmente tornano insieme e il risultato si vede e come, il film ha tutto un altro passo estetico rispetto alla solita produzione di Van Sant, consentendogli di potersi concentrare anche su altro come una colonna sonora molto particolare e in certi punti davvero sorprendente (per l'uso che fa di musica orchestrata per altri film, in particolare Nino Rota).
La storia pure è sufficientemente decostruita. Dove per sufficientemente intendo proprio sufficientemente, cioè non troppo e non troppo poco. Tratto da un libro Paranoid Park se ne distanzia subito e su un canovaccio da thriller instaura tutto un altro discorso disinteressandosi dell'intreccio e guardando unicamente il suo protagonista perchè solo lui conta.
Avrete capito che Paranoid Park è un film decisamente all'europea (ma molto proprio!) pur fatto in stile americano. E sorpresa delle sorprese anche lo stile di lavorazione è stato fortemente europeo quasi nouvellevaghiano, con gli attori reclutati tra veri skaters e le scene e le battute concordate di giorno in giorno tra il regista e loro. Una lavorazione libera come non sono possibili ad Hollywood che finalmente fa centrare totalmente il segno a Van Sant. Godo.
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