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Tuesday, June 29, 2010

Twilight - Eclipse (id., 2010) di David Slate

POSTATO SU
Pensare di trascurare la saga di Twilight equivale a disinteressarsi del mondo in cui si vive. Scelta legittima ma disprezzabile.
Certo i film della serie non hanno mai brillato per valori cinematografici, ritmo o intrattenimento di classe e questo terzo, Eclipse, non fa che peggiorare, riducendo l'azione (comunque diretta molto male e in maniera svogliata, confusa e pressapochista, come dimostra lo stupido colpo di scena finale dell'unica battaglia del film), aumentando a dismisura i dialoghi ripetitivi tra i due protagonisti Bella ed Edward, mettendo a dura prova la pazienza degli spettatori non appassionati che si vedono sottoposti lungo tutto il film alla continua reiterazione della stessa dinamica (la ragazza dubbiosa sui suoi due uomini) e infine proponendo ancor di più una visione oscurantista del sesso.
Tuttavia a differenza di altre saghe cinematografiche di grande successo come I pirati dei Caraibi o Harry Potter (per citare quelle degli ultimi anni), quella di Twilight non è per tutti, non cerca cioè di accattivarsi spettatori di ogni tipo, sesso ed età in un'ottica generalista ma è anzi molto tematica e indirizzata ad un pubblico ristretto (pur nella sua grandezza). Testimonianza ne sia il fatto che esce al cinema in questi giorni senza temere i Mondiali di Calcio.

Le altre saghe vincono riproponendo in una buona confezione dinamiche, figure e archetipi eterni (il mistero della magia, l'eroismo giovanile, l'avventura esotica, l'uomo forte e via dicendo), differenziandosi da ciò che già è stato per la forma filmica scelta. Twilight invece a modo suo, pur partendo da una certa classicità, sovverte tante dinamiche e trova un successo di nicchia con modalità imprevedibili. Twilight (al cinema) nella sua pochezza formale è un trionfo di contenuti commercialmente perfetti per i nostri anni e per questo imperdibile.
A differenza della versione letteraria quella cinematografica deve operare la solita, inevitabile sintesi, deve quindi scegliere con ancora più accuratezza cosa mostrare e su quali elementi puntare, rivelando con maggiore precisione i segreti di questo successo e i desideri (espressi e non) che queste generazioni aspirano a vedere proiettati sullo schermo.

Non può non sorprendere come innanzitutto la storia sia tutta orchestrata intorno a due che già si amano e che di questo sono certi, e non come al solito intorno ad una tensione verso il raggiungimento di un amore, come si basi sull'inevitabile cesura e l'odio tra razze (vampiri, lupi e umani), come proponga una figura maschile debole e poco virile (specie in confronto alla controparte licantropa decisamente più "potente" seppur perdente) e una femminile che sembra il solito "motore immobile" ma che in realtà è centro dell'universo e unica ragione di vita di una serie di maschi (i due amanti e il padre) di fatto al suo comando, come non abbia nulla di divertente in un'epoca in cui l'alleggerimento comico è presente in tutti i prodotti e come infine parli di amore senza sesso (ma con fortissime pulsioni come testimonia l'eccesso di mani appoggiate su pettorali nudi) e di "attesa per il matrimonio" (si, avete letto bene!) ad una generazione che, come poche altre in precedenza, non ha il minimo problema a non aspettare.

Certo lo si è detto tante volte che trattasi di prodotto "emo", ovvero dark in un senso ancor più disperato e sentimentale, fondato sull'esibizione del dolore e dell'escoriazione fisica esteriore come metafora di una ferita interiore (il sangue nell'immaginario emo è fondamentale da cui la scelta del tema vampiresco, molto lontano dalla mitologia in materia ma traboccante di allegorie con al centro il sangue, di cui questa terzo capitolo in particolare fa abbondante uso), ma è anche vero che il pubblico di Twilight non è solo quello "emo" e che quindi il successo della saga dimostra come quel tipo di valori (amore iperbolico, autolesionismo, dialettica potenza/sentimento, irraggiungibilità della felicità....) siano oggi più trasversali di quanto non si possa credere.

Monday, May 18, 2009

Coraline e La Porta Magica (Coraline, 2009)di Henry Selick

POSTATO SU
Invito tutti voi burtoniani a mettere alla prova la vostra venerazione per il signore del gotico cinematografico e vedere questo Coraline scevri da pregiudizi. Si tratta di animazione stop motion dal regista di Nightmare Before Christmas su una storia scritta da Neil Gaiman. Dunque Coraline misura tutta la differenza e la distanza tra Selick e Burton mostrando, tra le altre cose, anche cosa di Nightmare Before Christmas sia imputabile a l'uno e cosa all'altro. Anche se poi non è possibile negare che Selick molte cose le mutui da Tim Burton, specialmente le soluzioni di regia come ad esempio l'uso del grandangolo quando deve mostrare il punto di vista degli oggetti che la protagonista cerca.

A mio parere Coraline è un film meraviglioso, una trasposizione riuscitissima del modo interessante e classico di raccontare di Gaiman e al tempo stesso un film toccante e raffinato, capace anche di sfruttare con sobrietà ed efficacia il 3D.
Ci sono davvero molte cose in Coraline. Gli amanti di Miyazaki non potranno non notare i molti punti di contatto con La Città Incantata c'è una bambina sradicata dal luogo dove viveva che affronta la transizione da un contesto sociale da un altro, ci sono i genitori catturati, un gioco per ritrovarli e soprattutto il tema fondamentale dell'affermazione della propria individualità come momento fondamentale di crescita personale. A differenza di Miyazaki però Gaiman/Selick affrontano questo tema su un impianto tipicamente occidentale.

Proprio quest'ultima cosa, cioè la necessità di trovare e riconoscere il proprio specifico e la propria unicità è forse il tema più interessante. Se La Città Incantata parlava di questo attraverso la metafora del nome della protagonista (rubato, cercato e poi ritrovato) in Coraline sono molti altri elementi a parlarcene: sono i capelli tinti di blu per farsi notare e sono i guanti che la mamma non vuole comprargli (elemento che sembra trascurabile nella trama ma che non lo è assolutamente come si vedrà a storia finita) a parlarci del desiderio di non essere omologata con una raffinatezza e al tempo stesso una forza degna delle migliori cause.

Un'ultima grossa differenza con il cinema e la poetica di Tim Burton riguardo la contrapposizione tra il mondo patinato borghese e quello dark malinconico è che, sebbene anche per Selick e Gaiman il mondo dei vivi è grigio mentre quello fantastico è coloratissimio, qui il grigio non è necessariamente bene in sè e ciò che sembra pastelloso e caramelloso non è male in sè, ma in quanto nasconde il grigio.
Cioè Edward Mani di Forbice trovava che il male è nel perbenismo dei pratini all'inglese e delle mura rosa non nel gotico e grigio castello da cui viene che anzi era un'alcova d'amore paterno. Qui invece il male è sempre il grigiore che è sotto la patina di luminosità, non lo sono quindi le pastellosità in sè. Questo è Gaiman quello è Burton.

Data la presenza della grandissima Dakota Fanning come doppiatrice originale vederlo doppiato è doppiamente delittuoso.

Friday, March 27, 2009

La Vita Segreta Delle Api (The Secret Life Of Bees, 2008)di Gina Prince-Bythewood

Il cinema essendo parte del sistema mitopoietico della società contemporanea (e una parte fondamentale!) tra le altre cose rilegge la storia dei popoli che lo fanno. Ogni popolo a sua volta ha il proprio modo di tramandare e raccontarsi il proprio vissuto nazionale. Noi solitamente preferiamo metterlo in discussione, analizzarlo, sviscerarlo e metterne in scena i retroscena puntando anche sulla perizia della ricostruzione, gli americani invece in linea di massima operano un racconto della storia emotiva.

La vita segreta delle api in questo senso è un perfetto esempio di racconto della storia sentimentale del popolo afroamericano (il film è prodotto da Will Smith e Jada Pinkett Smith, è diretto da una donna di colore e mette in scena alcune delle più grandi star cantanti afroamericane).
Tutto è ambientato nell'anno della firma della dichiarazione dei diritti civili del popolo nero per parlare proprio di quella situazione e di quelle conquiste, ma non viene mai mostrato il processo che ha portato alla firma, cosa implicasse, chi furono gli artefici ecc. ecc. non ci sono mai "fatti" ma solo "emozioni". Al massimo c'è qualche riferimento pop che inquadri la questione (Jack Palance andrà in un cinema con una donna nera!!!).

La cosa in sè non è necessariamente un male. Il male è affidare tutte le soluzioni del film agli attori, incantarsi sui loro volti e sperare che risolvano ogni cosa, comunichino ogni significato e trasmettano ogni sentimento. Il male è mettere loro in bocca in continuazione pillole di saggezza poetica che insegnino. Il male è rassicurare con ogni svolta di trama, acquietare tutto il più possibile anche i momenti più drammatici (che vengono talmente annunciati per tempo da risultare innocui per chiunque). Il male è fare un film nel quale tutto mira a confermare ciò che già pensi e tutti gli stereotipi che hai in mente (poco importa che non siano più stereotipi razzisti).

Poi certo, cercando sempre la soluzione più facile e diretta per ottenere il risultato (una lacrima per ogni sorriso) alla fine lo si raggiunge, anche perchè c'è Dakota Fanning che non si sa come sia possibile ma a 14 anni è uno dei volti drammatici più espressivi che ci siano, capace di raccontare con uno sguardo emozioni che non può aver provato!

La truffa finale è che la prima scena del film è identica (ma dico "identica") per idea e svolgimento a quella di Mean Streets, uno dei film più disturbanti e meno acquietanti che si siano mai fatti. Sul serio mi vuoi far credere che il film sarà così??