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Tuesday, April 26, 2011

Angèle e Tony (id., 2011)di Alix Delaporte

Esiste un genere che non è genere nel cinema francese, quello dei film d'ambito derelitto. Vite ai margini della città, ai margini del benessere e ai margini della legalità. Storie solitamente tragiche, filmate con macchina a mano e messa in scena sobria. Ma soprattutto film che, dietro un apparente realismo, mettono insieme personaggi totalmente irreali senza che questo infici la godibilità del film.

Angele e Tony sono due disperati, a modo proprio. La prima si è fatta un passaggio in galera e per questo non ha l'affidamento del figlio (momentaneamente parcheggiato dai nonni), il secondo gestisce una compravendita ittica ed è drammaticamente solo. La loro unione, prima di convenienza, può diventare la risposta ad entrambi i malesseri.
Con il chiaro ed evidente obiettivo di raccontare il paesaggio e la società prima che la storia (molto esile) dei due protagonisti, Angèle e Tony, risponde in pieno ai canoni del film d'ambito derelitto. Sebbene contaminato da una poco usuale speranza, lo stesso mette in scena famiglie e personaggi indigenti ed ignoranti con la consueta espressività poetica. In questo come in altri film del genere i pescatori non urlano e non sbraitano davanti a polemiche o difficoltà, non hanno atteggiamenti ignoranti nè sono particolarmente veraci. Anzi. Dal primo all'ultimo sono caratterizzati da una calma compassata e da una tendenza alla riflessione silenziosa più appropriati alle classi snob che a quelle spontanee.

La forza del film è però di fare di quest'irrealismo una caratteristica e non un difetto. I personaggi totalmente di fantasia funzionano più di loro eventuali controparti reali, suggeriscono invece che mostrare apertamente e pur non rispecchiando le cose come stanno riescono lo stesso, per allusione, a parlare di stati d'animo.
Non è un modo di raccontare diretto, che mostra un microuniverso per quel che è, ma un modo di filtrare un'idea di quel microuniverso per renderla in grado di parlare a molti altri.