Diciamolo subito: non avevo mai giocato a nulla di simile. Conoscevo già giochi molto simili, dalle storie simili o dalle stesse dinamiche, ma mai come in questo caso il contenuto è ininfluente di fronte alla forma.
Shadow Of The Colossus è uno dei prodotti più raffinati e uno dei pezzi di storytelling videoludica migliori a cui abbia mai avuto l'onore di prendere parte. Forse l'unico gioco a cui abbia mai giocato per il quale la storia raccontata sia più importante dell'atto materiale di giocare.
Il trucco di Shadow Of The Colossus, il motivo per il quale è qualcosa di diverso rispetto a tutto il resto, è in sostanza il linguaggio audiovisuale. Se molti videogiochi utilizzano i trucchi del cinema (oltre al gameplay ovviamente) per risultare più interessanti e convincenti dei propri rivali Shadow Of The Colossus sembra programmato attorno ai trucchi filmici.
C'è innanzitutto il subtracting design, ovvero in parole povere il fatto che il gioco è essenziale. Non povero ma essenziale. Non ci sono cuori, stelle, pozioni, munizioni, nemici da un colpo, passanti, segreti e via dicendo. Ci sei tu, il cavallo, la spada, le frecce (cioè l'arma da vicino e l'arma da lontano) e 16 colossi. FINE. Tutta l'energia dei designer e degli animatori è stata profusa in pochi elementi realizzati con cura e ognuno con un pensiero dietro. Per tutta la sconfinata landa desolata che percorri per trovare i colossi non c'è mai nulla, solo il vento che soffia e al massimo qualche rettile.
Il vento. Ecco un'altra cosa fondamentale.
Assieme alla
blooming light (quel tipo di illuminazione un po' precaria, un po' accecante e che sembra ottenuta con la calza) che ha un fortissimo valore emotivo, il vento contribuisce moltissimo all'empatia. Perchè se la dinamica è sempre la stessa (protagonista che affronta un quest che prevede la sconfitta di mostri per salvare ragazza) questa volta i due si amano davvero! E si amano perchè in quei luoghi non c'è altro da poter fare se non amarsi. Mi spiego meglio, fin dalla sequenza iniziale (che genialmente inserisce lo spettatore a metà di una storia non spiegando mai come si sia arrivati a quel punto) è evidente come l'ambiente ci parli dei personaggi, in quei luoghi ombrosi, solitari e impervi sembra potervi essere spazio solo per un amore disperato e doloroso (che era a grandi linee la stessa idea dietro
Outer World). E' la stessa motivazione per la quale spesso nel noir classico fa molto caldo (Brivido caldo, La fiamma del peccato) o molto freddo (Neve rossa) o piove molto e per la quale le luci entrano di taglio. Perchè il paesaggio in cui inscrivi la figura in primo piano stringe con essa un rapporto determinante per la comprensione del suo ruolo nel mondo e quindi dei suoi sentimenti. Se hai pochi elementi per valutare una situazione, ognuno di essi sarà determinante.
Fumito Ueda ha una chiara percezione di cosa sia importante in un racconto videoludico e sa che non solo è bello prendere parte ad un'avventura in cui sei l'eroe ma che occorre convincere davvero lo spettatore che sta incarnando un eroe. Non basta dargli una spada e farlo vincere.
L'idea del colosso come nemico è perfetta, dal confronto grande/piccolo il protagonista ne esce sempre più audace e il giocatore più ricompensato. In più sequenze come quella sul colosso a forma di pterodattilo che ti porta in giro con il vento in faccia e qualche goccia d'acqua o quella del salto dal cavallo all'ala poggiata sulla sabbia del colosso a forma di drago, hanno il respiro dei film di John Ford nei quali ad ogni grande movimento corrisponde anche un piccolo movimento in armonia con esso e la musica ha le movenze del motion picture score, non della musica da videogioco.
Se però durante il gioco si ha la chiara percezione che ci sono molte cose diverse dal solito è solo dopo aver assistito al finale che si comprende davvero che ogni elemento del gameplay già di suo scarno (il suddetto subtracting design) ha una finalità chiara e più grande di quella intuibile immediatamente. Tutto punta a quel finale, non finire il gioco (che forse proprio per questo è molto facile) equivale a non vedere la fine di un film.
I colossi sanguinano e molto quando colpiti, una cosa cruda e inusuale perchè genera una sorta di perversa empatia con il nemico e pone dei dubbi sulla legittimità del proprio operato, elemento che alla fine sarà determinante come anche sarà determinante (e qui si parla di colpo di genio!) il fatto che durante alcune cut scenes del finale è ancora possibile controllare il giocatore. Il suo destino è segnato e la scena comunque finirà sempre nella medesima maniera ma il gioco ti consente di batterti comunque in una disperata lotta contro il destino, che è il succo della trama. E quella lotta finale (che prevede anche un clamoroso scambio di ruoli) disperata lo è davvero!
Shadow Of The Colossus con il suo finale aperto e rivelatore è un gioco che destabilizza il giocatore, lo costringe a porsi delle domande non tanto su quello che ha visto (che è solitamente ciò che fa un film) quanto su quello che ha fatto, levandogli alcune certezze granitiche del mondo videoludico e consentendogli di prendere parte al racconto non tanto di un uomo quanto di un mondo.
Superfluo dire che ora tocca ad
Ico e che conto i giorni che mi separano da
The Last Guardian.
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