E' talmente particolare il modo di lavorare, concepire e realizzare le sue opere che alla fine un film rimestato e rielaborato per far fronte alla morte di uno dei protagonisti sopraggiunta a metà lavorazione è uno dei migliori tra gli ultimi di Terry Gilliam.
Appurato che i tempi di Brazil e Paura e Delirio a Las Vegas sono lontani si può affermare che Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo è un'opera riuscita e in certi momenti dotata di lampi di quella complessità visiva e quella stratificazione narrativa che sono la cifra del miglior Gilliam.
Innanzitutto la trama, stranamente lineare e foriera di poche divagazioni che non siano funzionali ad una storia che di suo ne prevede, merito probabilmente del ritorno di Charles McEwon. Il dr. Parnassus controlla la propria mente e l'immaginazione degli altri consentendo a chiunque attraversi lo specchio del suo carrozzone ambulante (veramente bello) di entrare nella propria. Ogni attraversamento è un passaggio tra il mondo reale e quello finzionale (leggasi: digitale) nel quale i personaggi si trovano a scegliere tra il Diavolo e Parnassus stesso.
Parnassus da millenni fa scommesse con il Diavolo e negli ultimi anni si è giocato l'anima della figlia, per tenerla stretta deve collezionare più anime del principe delle tenebre e in questo lo aiuta un nuovo arrivato, cioè Heath Ledger.
Se tematicamente Gilliam non si allontana mai troppo da se stesso (alla faccia della grande immaginazione!) e anche visivamente rimane vincolato ai suoi standard (i saggi barboni, il mondo dei senza tetto delle grandi città, le lenti deformanti e la profondità di campo, i santoni e infine il contrasto tra i sogni, nel senso di aspirazioni, e la realtà vissuta) narrativamente stavolta trova una nuova unione riuscita tra l'esigenza di raccontare una storia canonica e quella di mettere in scena l'inenarrabile, la scintilla di assoluto alla quale anela, quell'avvicinamento costante al mondo dell'assurdo più o meno carroliano (bellissimo il passaggio giorno/notte con il riflesso in acqua).
Certo, l'impressione che più che mettere in scena una vera immaginazione Gilliam metta in scena gli stereotipi di quella che solitamente pensiamo sia una grande immaginazione, è forte. Ma se ci si svincola da questo probabilmente fondato sospetto (che è il regista stesso a sbatterci in faccia) si trova un film sorprendente e meno stralunato di quel che si possa pensare incentrato sulle possibilità di essere quello che non si è. Che rivedere le proprie opere a metà non gli faccia davvero bene??
Appurato che i tempi di Brazil e Paura e Delirio a Las Vegas sono lontani si può affermare che Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo è un'opera riuscita e in certi momenti dotata di lampi di quella complessità visiva e quella stratificazione narrativa che sono la cifra del miglior Gilliam.
Innanzitutto la trama, stranamente lineare e foriera di poche divagazioni che non siano funzionali ad una storia che di suo ne prevede, merito probabilmente del ritorno di Charles McEwon. Il dr. Parnassus controlla la propria mente e l'immaginazione degli altri consentendo a chiunque attraversi lo specchio del suo carrozzone ambulante (veramente bello) di entrare nella propria. Ogni attraversamento è un passaggio tra il mondo reale e quello finzionale (leggasi: digitale) nel quale i personaggi si trovano a scegliere tra il Diavolo e Parnassus stesso.
Parnassus da millenni fa scommesse con il Diavolo e negli ultimi anni si è giocato l'anima della figlia, per tenerla stretta deve collezionare più anime del principe delle tenebre e in questo lo aiuta un nuovo arrivato, cioè Heath Ledger.
Se tematicamente Gilliam non si allontana mai troppo da se stesso (alla faccia della grande immaginazione!) e anche visivamente rimane vincolato ai suoi standard (i saggi barboni, il mondo dei senza tetto delle grandi città, le lenti deformanti e la profondità di campo, i santoni e infine il contrasto tra i sogni, nel senso di aspirazioni, e la realtà vissuta) narrativamente stavolta trova una nuova unione riuscita tra l'esigenza di raccontare una storia canonica e quella di mettere in scena l'inenarrabile, la scintilla di assoluto alla quale anela, quell'avvicinamento costante al mondo dell'assurdo più o meno carroliano (bellissimo il passaggio giorno/notte con il riflesso in acqua).
Certo, l'impressione che più che mettere in scena una vera immaginazione Gilliam metta in scena gli stereotipi di quella che solitamente pensiamo sia una grande immaginazione, è forte. Ma se ci si svincola da questo probabilmente fondato sospetto (che è il regista stesso a sbatterci in faccia) si trova un film sorprendente e meno stralunato di quel che si possa pensare incentrato sulle possibilità di essere quello che non si è. Che rivedere le proprie opere a metà non gli faccia davvero bene??
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