Il fatto se un film sulla vita di un musicista debba avere o meno una grande parte musicale è sempre argomento di dibattito, da un lato c'è infatti l'esigenza di raccontarne la vita, dall'altro quello di spiegare, mostrare e veicolare i suoi valori attraverso ciò che ha espresso (quindi la musica).
Il risultato, come è evidente, è che occorre un'intelligenza ed un'abilità non comuni per raccontare un grande musicista, specialmente quando ci si deve confrontare con i fan e assicurarsi (come è ragionevole fare) che non rimangano delusi dalla ricostruzione.
Personalmente odio i biopic e trovo che, tranne casi rari, siano abbastanza stupidi e malfatti, che insistano sempre troppo sulla vita privata, quasi sempre priva di eventi realmente interessanti, e che non riescano mai a raccontare il professionista prima dell'uomo (che è poi il motivo percui quella particolare figura è passata alla storia).
Riassunto di tutto questo è Control, film su Ian Curtis, leader dei Joy Division morto a 24 anni, girato in un ruffianissimo bianco e nero molto curato e contrastato e tutto centrato sui deliri interiori del protagonista e poco sulla musica.
La scelta di Corbijn dunque è di lasciare la musica in secondo piano. Non si comprende l'originalità della band, non se ne capiscono i motivi del successo nè è chiaro perchè Ian Curtis sia osannato dalle folle.
E' però raccontata con dovizia di particolari la sua vita privata, con un senso poetico abbastanza ridicolo che mitizza il quotidiano e anche lo squallido (i piccoli e grandi tradimenti, il rapporto con la moglie e con la band).
Non mitizzare eccessivamente la figura, renderla umana e terrena poteva essere una scelta in grado di pagare, ma sinceramente non è stato così. L'esigenza di creare a tutti i costi (ed è un'operazione che comincia fin dal bianco e nero) una dimensione sentimental-romantica intorno ad ogni elemento della storia è abbastanza stucchevole e non fa che appesantire una storia che di suo è anche priva di grossi eventi.
Il risultato, come è evidente, è che occorre un'intelligenza ed un'abilità non comuni per raccontare un grande musicista, specialmente quando ci si deve confrontare con i fan e assicurarsi (come è ragionevole fare) che non rimangano delusi dalla ricostruzione.
Personalmente odio i biopic e trovo che, tranne casi rari, siano abbastanza stupidi e malfatti, che insistano sempre troppo sulla vita privata, quasi sempre priva di eventi realmente interessanti, e che non riescano mai a raccontare il professionista prima dell'uomo (che è poi il motivo percui quella particolare figura è passata alla storia).
Riassunto di tutto questo è Control, film su Ian Curtis, leader dei Joy Division morto a 24 anni, girato in un ruffianissimo bianco e nero molto curato e contrastato e tutto centrato sui deliri interiori del protagonista e poco sulla musica.
La scelta di Corbijn dunque è di lasciare la musica in secondo piano. Non si comprende l'originalità della band, non se ne capiscono i motivi del successo nè è chiaro perchè Ian Curtis sia osannato dalle folle.
E' però raccontata con dovizia di particolari la sua vita privata, con un senso poetico abbastanza ridicolo che mitizza il quotidiano e anche lo squallido (i piccoli e grandi tradimenti, il rapporto con la moglie e con la band).
Non mitizzare eccessivamente la figura, renderla umana e terrena poteva essere una scelta in grado di pagare, ma sinceramente non è stato così. L'esigenza di creare a tutti i costi (ed è un'operazione che comincia fin dal bianco e nero) una dimensione sentimental-romantica intorno ad ogni elemento della storia è abbastanza stucchevole e non fa che appesantire una storia che di suo è anche priva di grossi eventi.
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