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Monday, May 24, 2010

Zio Boonme che vedeva le sue vite passate (Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives, 2010)di Apichatpong Weerasethakul

FESTIVAL DI CANNES 2010
CONCORSO

Il vincitore della Palma d'Oro di quest'anno è senz'altro il film più dilatato, difficile, ermetico e simbolico visto passare nel non già esaltante concorso.
Nel raccontare un universo in cui l'animismo ha la stessa concretezza della realtà materiale e in cui fisico e metafisico non hanno eccessive distinzioni, Apichatpong procede per immagini come si conviene in questi casi e non certo attraverso un filo logico. In un cinema in cui ogni elemento inquadrato ha la medesima importanza e in cui il regista non insegue di certo i personaggi ma sta più attento a comporre le immagini in modo che animali, piante, cibo, uomini ed esseri condividano un medesimo spazio, la storia di un uomo che vede le sue vite passate poteva essere uno spunto veramente interessante.

Quello che accade è però che lo stile compassato, dilatato e molto molto tranquillo della pellicola, si abbatte come una scure sulla sua comprensibilità. Il viaggio di Zio Boonme verso la morte e contemporaneamente verso altre vite non ha i contorni esaltati di un trip metafisico ma quelli concreti di una vita che si spegne e le poche impennate convincenti (la favola del pescegatto, l'abbraccio sul letto, il fantasma che arriva e che poi veglia o il figlio scimmia) si perdono in un mare di dialoghi che girano intorno alle situazioni e rumori d'ambiente.
Le intuizioni, quelle si, paiono straordinarie, le loro attualizzazioni ben meno.

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